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Rassegna stampa. Caltanissetta, comunale licenziata per assenteismo: reintegrata dal giudice del lavoro

Lino Lacagnina - La Sicilia

Rassegna stampa. Caltanissetta, comunale licenziata per assenteismo: reintegrata dal giudice del lavoro

Gio, 08/07/2021 - 11:19

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CALTANISSETTA – Uno dei tre dipendenti comunali coinvolti nei presunti casi di assenteismo verificatisi al Comune di Caltanissetta tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013, licenziata a seguito della sentenza emessa della Corte d’Appello a settembre dello scorso anno, dovrà essere reintegrata nel posto di lavoro. A stabilirlo è stato il giudice del lavoro con una ordinanza di natura cautelare a cui la dipendente si è rivolta dopo essersi vista notificare la lettera di licenziamento. Con la sentenza della Corte d’Appello, la dipendente comunale era stata condannata a 1 anno e 4 mesi, più 550 euro di multa.

In conseguenza della sentenza (con la quale sono state emesse 31 condanne nei confronti di altrettanti dipendenti comunali), lo scorso 30 marzo la donna aveva chiesto l’annullamento del provvedimento disciplinare con il quale veniva disposto il suo licenziamento senza preavviso “per avere provveduto a registrare l’entrata nel dispositivo marca tempo per conto di un’altra collega”. Il provvedimento in questione era stato adottato dal Comune a conclusione del procedimento disciplinare intrapreso nel luglio del 2014 nei confronti dei dipendenti comunali coinvolti, ma era rimasto sospeso in attesa della definizione del procedimento penale. Nel ricorso, la ricorrente, assistita dall’avv. Giuseppe Colombo, ha rilevato la sussistenza del “fumus boni iuris” (ovvero la probabilità dell’esistenza di un diritto pur in mancanza dell’accertamento definitivo), nonché la sussistenza del “periculum in mora”, vale a dire il pericolo di un danno grave e irreparabile causato dal ritardo, che nel caso in questione era rappresentata dall’impossibilità della ricorrente di fare fronte ai bisogni primari ed alimentari della propria vita a causa della privazione di ogni fonte di reddito.

Dal canto suo, il Comune aveva richiesto il rigetto della domanda rilevando che nel periodo preso in considerazione i comportamenti della ricorrente si erano ripetuti 18 volte. Da qui il licenziamento. È stato obiettato dall’avv. Colombo che il Ccnl per i fatti contestati prevede una sanzione conservativa e non espulsiva, deducendo che il licenziamento irrogato dal Comune era illegittimo. Tra l’altro dagli atti prodotti è risultato che la ricorrente aveva agevolato la condotta di una collega affetta da neoplasia (deceduta poco dopo i fatti). E ancora la ricorrente ha fatto presente che, attualmente, l’unico percettore di reddito in famiglia è il marito, titolare di una pensione di modesto importo, e che la retribuzione percepita dal Comune era per lei necessaria a provvedere anche al sostentamento dei figli (in cerca di occupazione) e in grave difficoltà economica a causa della crisi determinata dalla pandemia da Covid.

Decisivo è risultato anche il fatto che gli episodi contestati sono avvenuti tra il 2012 e il 2013, prima dell’introduzione del decreto legislativo 116/2016 che sancisce il licenziamento disciplinare per falsa attestazione di presenza. Accogliendo il ricorso, la dott. Mancuso ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato alla dipendente e ha condannato il Comune alla sua reintegrazione nel posto di lavoro. Inoltre ha condannato il Comune al pagamento, in favore della ricorrente di un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata, dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione (dedotto di quanto percepito nel periodo di estromissione per effetto di altre attività lavorative).

E ancora, il Comune è stato condannato al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione, e – infine – al pagamento delle spese di lite liquidate in 2.500 euro oltre al rimborso forfettario al 15% per Iva e Cpa.

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