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Lutto nel teatro italiano: addio a Giorgio Albertazzi

Redazione

Lutto nel teatro italiano: addio a Giorgio Albertazzi

Sab, 28/05/2016 - 09:04

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Giorgio AlbertazziHa sempre vissuto circondato dalle donne, Giorgio Albertazzi, segretarie, addette alle pubbliche relazioni, musiciste e naturalmente attrici. E nei loro confronti è sempre stato paterno e generoso, «per ringraziarle della loro presenza nella mia esistenza». La più importante, la moglie Pia de’ Tolomei, non fa l’attrice, ma gli è stata vicino fino all’ultimo istante e, nei giorni scorsi, si era molto preoccupata «perché – diceva – Giorgio si dà troppo e non è più un ragazzo». Ma Albertazzi, il «perdente di successo», come aveva intitolato un suo libro, era fatto così: avrebbe voluto morire in palcoscenico, «a tutti gli attori piacerebbe: è la massima celebrazione, è meraviglioso» e raccontava un aneddoto a proposito di Molière: «Quando morì in scena mentre recitata il “Malato immaginario”, il pubblico in sala, che non si era accorto del decesso, mormorò: “stasera ha recitato male la parte del morto”… ed era morto davvero!». Insomma, morire in scena per Albertazzi, che la scena l’ha praticata per quasi settant’anni, era uno sberleffo.

Nato a Fiesole il 20 agosto 1923 aveva debuttato con «Troilo e Cressida» di Shakespeare nel 1949 con la regia di Luchino Visconti. Amava ricordare quando, nel 1964, fu il suo «Amleto» con la regia di Zeffirelli a essere selezionato e rappresentato all’Old Vic di Londra per celebrare il 400° anniversario della nascita del Bardo. Una carriera, la sua, che ha spaziato dal cinema alla televisione, da film indimenticabili come «L’anno scorso a Marienbad» a sceneggiati altrettanto indimenticabili come «L’idiota» e «Jeckyll». Tra le sue interpretazioni teatrali di maggiore successo, «Memorie di Adriano» della Yourcenar con la regia di Maurizio Scaparro: uno spettacolo che, da quando debuttò alla Villa Adriana di Tivoli nel 1989, ha raggiunto quasi 1000 repliche, in Italia e all’estero. Ma un numero infinito di titoli affolla la sua storia di mattatore: «Ci ho messo un paio d’anni a imparare a recitare come Ricci e Benassi. Ci ho messo tutta vita a imparare a non recitare più. Io non recito, io sono». Ciò che lo animava era il «duende» il suo genio creativo e per questo amava le provocazioni: tra le tante, anche quella di apparire nudo in pubblico, sia pure per un attimo fuggente, all’età di 87 anni, nello spettacolo «Cercando Picasso» diretto da Antonio Calenda.
Compagne di vita e di scena
Al suo fianco protagoniste, compagne di scena e di vita, come Bianca Maria Toccafondi, Anna Proclemer, Elisabetta Pozzi, Mariangela D’Abbraccio. Un irriducibile libertino fino all’età più avanzata, pur definendosi un Casanova più che un Don Giovanni: festeggiò il suo novantesimo compleanno celebrando Gabriele D’Annunzio, un suo cavalo di battaglia, un suo poeta prediletto. «Sì, perché il Vate era un erotomane, che si riempiva pure di tante parole, ma quando copriva il corpo della sua amante di petali di rose, più che un gioco trasgressivo, era un gesto poetico. E per me, come spesso accade agli amatori, conta solo fatto di far diventare la cosa un atto indimenticabile». E pur misurandosi con il grande repertorio classico, non trascurava l’autoironia e la leggerezza, «che aiuta a superare, a sopportare la pesantezza di vivere, tramuta la risata in un sorriso, la tristezza in malinconia». Una leggerezza che dimostrò, anche recentemente, partecipando persino a uno show come «Ballando con le stelle».
Nessuna paura della morte
Insomma, Albertazzi ogni sera in palcoscenico si armava come un guerriero, scendendo nell’arena per uccidere il toro e trovandosi davanti a una platea di uomini e soprattutto di donne che erano desiderose di abbracciarlo, complimentarsi con lui, persino baciarlo. In proposito, raccontava: «Qualche anno fa, in un teatro, mi è venuta a salutare una bellissima e giovane donna, dicendomi “devo dirle due cose importanti: la prima è che voglio un figlio da lei”». Di figlio, però, Albertazzi non ne ha mai avuti: ammetteva di non essere tagliato a fare il padre. La vecchiaia lo disturbava perché «è più corporea della giovinezza, ti costringe a fare i conti con il tuo corpo, che reclama le sue esigenze. Quando sei giovane non ti accorgi di averlo, ti obbedisce. Ma poi arriva il momento che ti dice “no, questo non lo puoi fare perché sei vecchio”». Così mal sopportava di comparire, negli ultimi tempi, in palcoscenico aiutato da un bastone, per via di una gamba che gli dava fastidio. Non aveva paura della morte: lo considerava un avvenimento importante. «È l’assoluto, è un mistero. Non bisogna averne paura, perché già il non sapere cosa succede dopo di lei è eccitante. E poi – aggiungeva – se davvero esiste l’inferno, come diceva Flaiano, i peccatori sono tuti nudi, e magari ci si può anche divertire». (di Emilia Costantini, fonte corriere.it)