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Pasquasia, tutta la verità sulla miniera secondo Giuseppe Regalbuto

Redazione

Pasquasia, tutta la verità sulla miniera secondo Giuseppe Regalbuto

Dom, 30/03/2014 - 12:48

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Giuseppe Regalbuto

Giuseppe Regalbuto

I RETROSCENA DELLA TRATTATIVA CHE HA PORTATO ALLA CHIUSURA DELL’ATTIVITA’ ESTRATTIVA DELL’ORO BIANCO DI SICILIA. UN DANNO ECONOMICO PER LA NOSTRA ISOLA MAI RIPIANATO DALLO STATO ITALIANO

Torna di grande attualità il sito minerario dismesso di Pasquasia, in Provincia di Enna, a seguito del provvedimento di sequestro preventivo dell’area da parte della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta.

Eravamo in cima al mondo ed all’improvviso decisioni dall’alto hanno privato la Sicilia della ricchezza naturale che ne aveva conquistato i mercati internazionali per qualità ancor prima che per quantità.

Fiumi di parole si sono succedute nel corso degli ultimi trent’anni, tante le ipotesi sulla chiusura. La verità è che la Sicilia, come dimostreranno le parole di Giuseppe Regalbuto, intervistato dal nostro giornale, è stato scippata di una ricchezza che le apparteneva e che ancora oggi può costituire volano di sviluppo economico per le popolazioni delle aree interne dell’Isola.

Negli Ottanta quando la miniera di Pasquasia, grazie all’estrazione di sali alcalini misti e, in particolar modo di Kainite, aveva permesso all’Isola di accumulare un’importante ricchezza, l’azienda che assieme alla Regione siciliana aveva in gestione la miniera, l’Italkali, rappresentava addirittura la terza fornitrice di sali potassici in tutto il mondo, nonché la prima per la qualità. Poi, all’improvviso, la chiusura. Da allora, si sono rincorse le voci su un traffico di scorie nucleari che finivano dritto nel cuore della miniera in provincia di Enna. Mentre il primato del mercato dei sali potassici passava al Canada, alla Russia e, soprattutto, alla Germania.

Ripercorriamo i motivi della chiusura ed i retroscena della vicenda con Giuseppe Regalbuto,presidente della Commissione Speciale per lo studio delle problematiche riguardanti la Miniera di Pasquasia e presidente delle Miniere dismesse di tutta la Sicilia per conto dell’Unione regionale delle province siciliane.

Presidente Regalbuto, perché è la miniera si Pasquasia è stata chiusa?

“A seguito di un incontro nel 2009 con l’avvocato Vincenzo Fragalà, noto penalista palermitano e deputato alla Camera barbaramente ucciso il 23 gennaio 2010, di cui sono in possesso di documentazione, mi parlò della miniera di Pasquasia, spiegandomi che la chiusura fu legata ad un preciso accordo tra Italia, Gemania, Francia e Canada, voluto dal Governo italiano per agevolare le miniere tedesche nell’esigenza, sentita in Germania, di creare nuova occupazione nel comparto minerario tedesco a seguito della caduta del muro di Berlino”.

Cosa c’entra il Canada in questa storia?

“Dagli scambi minerari la Sicilia riusciva a tirare fuori il magnesio metallico, preziosissimo per la produzione di componenti per la tecnologia aerospaziale, per le carlinghe degli aerei e soprattutto per le testate missilistiche. Siccome il Canada è l’unico produttore mondiale di magnesio metallico mal digeriva la concorrenza da parte della Sicilia”.

Cosa ci guadagnò lo Stato italiano?

“Dall’accordo il Governo italiano avviò nel Triveneto la produzione dell’attrezzature necessaria all’attività estrattiva delle industrie, per esempio, tedesche”.

E la Sicilia quanto vantaggi riuscì a trarre dall’accordo?

“Nessuno, o per meglio dire, tutto il personale delle miniere fu parcheggiato nella società Resais. I lavoratori furono ‘zittiti’ con stipendi d’oro spesso e volentieri senza neanche la necessità della prestazione di lavoro. Fatto che interessò circa il 90 per cento degli ex dipendenti”.

Da qualche parte si è sostenuto che la miniera di Pasquasia non era più redditizia. E’ così?

“No. L’allora Ente minerario siciliano, come fu confermato dalla società di gestione Italkali, in una relazione a metà degli anni Ottanta, ebbe a confermare la produttività dell’estrazione nelle miniere di Pasquasia per almeno un trentennio”.

Quale furono i motivi che portarono alla chiusura del bacino minerario?

“Nel 1992 costringono la miniera a chiudere perché mancava un depuratore nelle acque reflue delle miniera. Nessuno dice che la gara per la realizzazione del depuratore fu appaltata dal Genio civile di Enna, vinta da un raggruppamento di imprese e successivamente anche aggiudicata. Prima dell’avvio dei lavori la gara fu revocata dallo stesso Genio civile, ufficialmente per un problema procedurale. Il raggruppamento di imprese ha presentato ricorso, ma non se ne fece nulla. Sta di fatto che il depuratore non fu mai realizzato”.

Prima della decisione di chiudere l’area mineraria ennesi, erano stati previsti progetti di sviluppo?

“Sì. La chiusura è avvenuta mentre la miniera aveva ricevuto un finanziamento di circa seicento miliardi delle vecchie lire per ampliamento del bacino estrattivo”.

È possibile riprendere la produzione?

“Il 9 febbraio 2011 l’Italkali ha trasmesso all’Assemblea regionale siciliana, al Governo regionale e alla commissione Attività produttive una nota dove, nel sottolineare di aver vinto il contenzioso con la Regione, precisa l’intenzione di voler riaprire le attività estrattive. Ancora oggi la società attende una riposta, quella concessione estrattiva necessaria alla ripresa dell’attività nell’area mineraria. Con amarezza confermo che nessuna risposta è mai pervenuta”.

Qual è la sua verità sulla discarica di scorie radioattive?

“Sulla vicenda legata alle scorie radioattive che da qualche parte si dice siano state depositate nella miniera di Pasquasia, ritengo proprio di escludere che vi sia presenza di tali rifiuti”.

Lei esclude il deposito di scorie radioattive nella miniera di Pasquasia, quali elementi sono in suo possesso?

“L’Arpa con i suoi esperti ha effettuato verifiche nella miniera confermando che non vi è alcuna presenza radioattiva. Anche i Vigili del Fuoco di Enna, negli anni scorsi , hanno fatto dei carotaggi e nessuna attività radioattiva è stato rilevata. E poi, la Regione siciliana ha autorizzato nel 2012, stanziando circa ventiquattro milioni di euro, la bonifica della miniera e questo quindi significa autorizzare il personale a poter operare proprio perché non vi è alcuna traccia di materiale nocivo alla salute”.

La bonifica dell’area perché si rende necessaria?

“Pasquasia è comunque una bomba ecologica, vi sono venti milioni di chili di cemento amianto ed un milione di metri cubi di materiale inquinante che va dalla plastica, al materiale ferroso, prodotti chimici, oli esausti, trasformatori, materiale residuo di macchine ed attrezzature abbandonate sopra il letto fluviale di un fiume che passa accanto alla miniera all’interno del territorio interessato dalle attività estrattive”.

Allora è un’invenzione la storia dei rifiuti tossici?

“Non proprio. Qualcosa c’è. A circa sedici chilometri in linea d’aria dalle miniere di Pasquasia esiste una miniera chiamata San Cataldo Bosco Palo. Il sito estrattivo presenta le stesse caratteristiche della miniera di Pasquasia. La miniera San Cataldo Bosco Palo è stata chiusa qualche anno prima di quella di Pasquasia e per i documenti in mio possesso ho riscontrato una forte fonte di radiazioni che non escludono la presenza di materiale radioattivo”.

Dai controlli cosa è emerso?

“Le indagini specifiche dell’Arpa, le stesse che hanno portato i tecnici ad affermare che a Pasquasia non vi fosse alcun pericolo di radiazioni, hanno fatto emergere, nel caso della miniera San Cataldo Bosco Palo, invece, la presenza di radiazioni. Pur tuttavia la stessa Arpa ha giustificato la rilevazione delle radiazioni per via di un cattivo funzionamento delle apparecchiature specialistiche utilizzate, non confermando quindi l’effettiva presenza di scorie radioattive. La cosa anomala è che mentre alla Commissione speciale da me presieduta l’Arpa ha dato la versione circa il cattivo funzionamento dello strumento, al ministero dell’Ambiente, in un documento ivi depositato, la Regione siciliana invece sosterrebbe che lo strumento era adeguato per la misurazione e che nessuna rilevazione radioattiva era stata riscontrata”.

Presidente Regalbuto, secondo lei la miniera di Pasquasia è pronta a riprendere l’attività in maniera produttiva?

“Da un colloquio avuto sia con i vertici di Italkali che con i referenti della società australiana ‘Bhp’ emerge che la miniera di Pasquasia, da sola, potrebbe ripartire con l’attività di estrazione di Sali potassici potendo occupare, da subito, almeno mille lavoratori che potrebbero diventare il doppio se si avviasse l’estrazione del magnesio metallico. In termini di fatturato si stima che la produzione potrebbe fruttare un milione e 500 mila euro al giorno. Una risorsa incredibile trasformata in un problema”.

Secondo lei, esiste un problema di procurato allarme?

“Non lo so. E’ davvero strano però come per Pasquasia la commissione da me presieduta sia potuta entrare in possesso di tutta la documentazione riguardante lo stato della miniera ed invece non posso dire la stessa cosa per la miniera di San Cataldo Bosco Palo. Probabilmente qualcosa c’è!”

Lei che conosce il comparto, saprebbe darci una stima di cosa nel tempo ha perso la Sicilia?

“Certo. Dal 1920 ad oggi la Sicilia ha perso circa ottocento tra miniere e cave per lo sfruttamento del sottosuolo, perdendo una media di cento cinquanta mila posti di lavoro mai sostituiti se non con ammortizzatori sociali. E poi si parla di assistenzialismo nel Sud! La più grossa potenzialità al mondo di estrazione di sali potassici e magnesio fa capo alla Sicilia. Ma tutto resta bloccato. Forse perché è più utile, per gli interessi non isolani, tenerci sotto i livelli di povertà. Ed invece, aggiungo che tra Agrigento, Caltanissetta ed Enna potrebbero riaprire almeno altre cinque miniere per l’estrazione di sali potassici: miniere che porterebbero gli occupati ad almeno altre quattro mila unità, al quale aggiungere tutto l’indotto che si creerebbe intorno all’attività estrattiva”.

E la politica siciliana

(LinkSicilia.it)