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Lettera a te che non hai mai tifato Maradona

Ciro Pellegrino - fanpage.it

Lettera a te che non hai mai tifato Maradona

Ven, 27/11/2020 - 10:00

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Devi viverlo per capire. Forse riesco con un esempio a rendere l’idea.

Qualche anno fa, un ragazzo morì per un incidente stradale, poco distante al mio vicolo. Passai pure io al funerale, in mezzo al Borgo Sant’Antonio Abate. Un cosa enorme, ci saranno state centinaia di persone. Era un ultras del Napoli.

I suoi compagni di spalti, massicci e vestiti di scuro, si allinearono e intonarono il motivo di ‘When the Saints Go Marching In’ la vecchia marcia funebre di New Orleans, poi diventata motivetto noto a tutti.

«Sarà con noi / sarà con noi / la maglia azzurra sarà con noi / e quando gli ultras saranno in cielo / la maglia azzurra sarà con noi». Proprio così. Il motto dei tifosissimi di tutto il mondo è «solo la maglia». Significa che i giocatori passano, ma i colori della squadra del cuore restano.

Non riguarda solo il pallone sai? Furono gli anni Ottanta e Novanta, le nostre vite come un binario lungo e pieno di speranze d’estate e progetti d’inverno. Ci sei tu, l’adolescenza, le foto sviluppate, la tv commerciale, i giornali a colori e sta arrivando il computer. Tu e l’hamburger, i paninari, il cinema e stanno arrivando le videocassette.

Dall’altra parte senti. E senti quel tum tum tum tum incredibile che arriva dallo stadio San Paolo in Napoli, dove ogni domenica pomeriggio pareva si combattesse per la vita o per la morte e probabilmente era così.

Anche quello riguardava te. Potevi disinteressarti del giuoco del calcio, ma la storia ti passava accanto: riguardava anche te. Come facevi a scartarla? Contestualizza: parliamo di appena sette anni, dal 14 luglio 1984 al 17 marzo 1991. Sette anni, il pieno del dopo-terremoto, la Cassa del Mezzogiorno, le guerre di camorra, il pentapartito, l’ultimo grande sacco edilizio di Napoli, un passo prima di Tangentopoli e degli scandali della politica. Sette anni per la storia sono nulla. Quei sette anni per la storia del calcio a Napoli sono stati un punto di svolta: Prima Maradona, dopo Maradona. Nulla fu più uguale.

Pino Daniele non ha mai dedicato una canzone a Maradona, ma se ascolti i suoi album degli anni Ottanta hai esattamente quel clima:

Sarà
un’altra strada che ci sarà
e forse arriveremo in tempo
Sarà
tutto in un momento

Puorteme ‘nterra ‘a rena
addò nun ce sta pere e po’
sputa ‘nfaccia a chi te sfotte
e nun te dà
non si può vivere e guardare
qualcosa che fa male

E se ascolti una canzone di Joe Sarnataro, l’alter ego blues di Edoardo Bennato , saprai esattamente cosa accadde quando D10S se ne andò da Napoli:

È asciuto pazzo ‘o padrone
l’avite fatto arraggià
Chillo era nù buono guaglione
e sapeva jucà
ma into a stà città manco ‘e sante
è facite allignà!…

È asciuto pazzo ‘o padrone
e nun ne vò cchiu sapè
l’avite rignuto ‘e miliarde
l’avite trattato comme nu’re
ma chello c’aveva fa l’ha fatto?
E mò nun tene niente a vedè!

Mi chiedi: perché i napoletani hanno amato così tanto Maradona? Non c’entra solo ‘o pallone. Dovremmo parlare di sociologia, di economia, di psicologia, di teoria e tecnica delle comunicazioni di massa, di analisi della psicologia delle folle. È stato il primo giocatore-icona del calcio moderno, l’atleta veramente popstar nei vizi e nelle virtù, la delizia del giornalista di cronaca sportiva, di cronaca rosa e di cronaca giudiziaria (e quanti hanno costruito carriere scrivendo del Pibe e del Pube de oro!).

Amore carnale, viscerale, scandalosamente legato all’icona e all’idea di miracolo. Ammore ovèro, ammore scumbinato, ammore arrepezzato, sfunnato, sparpetiato, esaggerato.

O vero odio per chi non beneficiava dei suoi miracolosi gesti atletici. Vi ricorda qualcosa? San Gennaro, faccia gialla, l’ampolla e la prodigiosa liquefazione.

«San Gennaro / tu lo sai / noi ti vogliamo bene… Ma na finta ‘e Maradona squaglia ‘o sanghe rint’ ‘e vvene!» diceva Gigino il Poeta del Bellavista di Luciano De Crescenzo.

Ironia sull’ironia: si chiama Bellavista il nome del cimitero in cui riposeranno le spoglie mortali del campione del mondo. Una bella vista. Come quella di Napoli dall’alto di via Scipione Capece numero 3 a Posillipo, residenza del mito.

Io azzardo. I Napoletani sono a tutto diritto Parenti di Maradona. Sono come le Parenti di San Gennaro che siedono in chiesa in prima fila e gli chiedono di non tardare nel fare il miracolo.

E così i Parenti di D10S si sono seduti per anni sugli spalti per chiedere e ottenere il prodigio. Non la vittoria sul campo, ma un riscatto etico, morale, materiale. Un miracolo, appunto.

E il martire, uomo fra gli uomini, ha mostrato tutte le sue debolezze che lo hanno reso ancora più vero, unico, indiscutibilmente leggenda. Ha esposto il costato ed è stato trafitto tante volte. Scusa se ti suona blasfemo. Mi passa davanti un pezzo dell’Osservatore Romano. Ricorda «la debilidad del genio».

Ti citerei il Boris Pasternak del dottor Zivago: «Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, che non hanno inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore. A loro non si è svelata la bellezza della vita».

Che dici, ti basta per farsi una idea? Ti ho convinto? Qui a Napoli non potevi non fare i conti con Maradona. Non potevi non fare i conti con tanto amore.

Non eri tifoso, dici? Nemmeno io. E che c’entra la maglia? Forse non lo sai, ma pure questo è amore. Figli degli anni Ottanta a me: Maradona a Napoli erano le gomme da masticare con l’adesivo, la figurina Panini scambiata per altre cento. Maradona era una Ferrari che sfrecciava veloce sulla Tangenziale all’ora dell’allenamento «Ho visto Maradona, ho visto Maradona…innamorato son».

E quanta gente l’ha visto. E quanti in suo nome hanno incassato, hanno magnato. Mica solo giornali, giornaletti, fotografi, maneggioni… L’industria del falso ha avuto una svolta con l’effige di Diego Armando Maradona: gagliardetti, sciarpe, magliette, calzini, mutande, foulard, portafogli. Fosse solo quello. Pensate ad oggi che i calciatori mandano avanti i loro avvocati pure per una intervista televisiva o due scatti di foto. Ci rimasi male, mi arrabbiai quando gli diedero la cittadinanza onoraria. Mi sembrava tutto finto, orchestrato, innaturale. Sai, ci ripenso ora: probabilmente mi faceva rabbia il tempo passato che non torna più. E mica quello degli scudetti, eh? Bagnoli sta ancora lla’, la camorra sta ancora cca. Non siamo stati capaci di cambiar niente. Anche lui, alla fine, fu acchiappato, fu trangugiato e digerito dall’amico dell’amico che a Napoli trovi ad ogni angolo del vicolo, se sei un Maradona.

Di questo però non parleremo. Sai come si dice in latino? Parce sepulto. Perdona a chi è sepolto.

E invece o ssaje come diciamo a Napoli? «Parliamo del corpo e non dell’anima». Ora è solo anima e merita più rispetto di quanto non gliene sia stato dato in vita.

Amarcord. L’incredibile miracolo riccio coi piedi che giocava nel campetto schifoso dal nome meraviglioso, il “Paradiso” a Soccavo, dove si allenava il Napoli più forte di sempre, il pallone al piede incollato, gli anni Ottanta che correvano veloce, a Milano erano da bere, a Napoli era lui che is beveva tutti, li scartava come birilli, li aggirava. Io con la macchinetta fotografica Konica Minolta e un rullino da sviluppare. Sai perché noi siamo parenti di Maradona? Perché a Napoli praticamente ognuno di noi ha una sua fotografia.

Arriviamo a oggi.

La Veronica, la meravigliosa Veronica. Il dio del pallone che ci ha fatto un ultimo regalo. Per un momento, ma solo per un momento abbiamo collettivizzato la sua morte scordandoci delle morti collettive, del mondo che puzza di cadavere e ospedali, appestato, avvelenato. Sappiamo che le torciate, i cori e i cortei di oggi saranno i titoli di domani: Napoli se ne frega dell’anti-assembramento Covid. Giusto dirlo. È così. Sappiamo pure che era praticamente impossibile impedire questa cosa senza causare una rivolta.

Ti ho convinto? Io ci ho provato.

E stavo “chiudendo” il pezzo così, quando mi è arrivato questo messaggio di una amica che combatte una battaglia vera, mica come le nostre che sanno di chiacchiere.

Te lo lascio qui, per non dimenticare.

Ciao Ciro, ti condivido un bel momento.
Mio padre ha l’Alzheimer, non riconosce neanche più noi figlie.
Mia sorella stamattina gli ha detto che è morto Maradona e lui l’ha ricordato ed ha pianto.
Maradona non si può dimenticare, neanche con l’Alzheimer

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