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I veri nemici di Papa Francesco

Redazione

I veri nemici di Papa Francesco

Lun, 22/07/2019 - 18:01

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Francesco ama riferirsi alle categorie della Teologia del Popolo, che propone una purificazione della religiosità popolare ma certo non fa sconti, sul piano etico, riguardo al dovere di lottare per stabilire una giustizia sociale che deve necessariamente basarsi sull’affermazione dell’uguaglianza nei diritti e sulla ridistribuzione delle ricchezze, ovvero sulla concretizzazione delle rivendicazioni che Francesco ha riassunto con le parole “terra, casa e lavoro”

La dialettica tra continuità e discontinuità accompagna da due millenni la vita della Chiesa, in pratica dal Concilio di Gerusalemme quando San Paolo contestava la chiusura (momentanea) di San Pietro alle conversioni di non ebrei. Chi sottolinea la continuità, se ha buone intenzioni, lo fa per avvalorare il magistero del suo tempo, ma corre il rischio di attenuarne la portata. Chi rileva invece la discontinuità, se ha buone intenzioni, aiuta a far radicare il nuovo che lo Spirito Santo ispira ai cristiani del presente.

E non si può dubitare che di elementi innovativi ne siano emersi – sempre accompagnati da contrasti – in ogni epoca, nella comprensione del messaggio evangelico basti pensare alla rinuncia al terrapiattismo, alla schiavitù e alla pena di morte.

Il Pontificato di Francesco e la riforma che sta attuando nella Chiesa tra mille difficoltà – dovute in buona parte a consolidate posizioni di potere acquisite dal 2000 in avanti, ovvero negli anni nei quali il governo centrale veniva esercitato, troppo spesso a proprio vantaggio, da cardinali e prelati degli entourage dei predecessori che erano in situazione di estrema debolezza – dunque possono a buon diritto definirsi rivoluzionari. Questo per la loro sofferta aderenza alle spesso scomode esigenze del Vangelo(esplicitamente definito rivoluzionario dal Papa attuale). Il che rappresenta di fatto un elemento di forte discontinuità con un passato caratterizzato da collateralismi politici e asservimenti a interessi economici: basti pensare alla prevalenza che c’era delle “ragioni“ dello Ior nella gestione della Curia.

Ma ad ampliare la portata del cambiamento gioca anche la cultura di provenienza di Bergoglio, vescovo di Roma chiamato quasi dalla fine del mondo, cioè dall’America Latina. E portatore degli ideali bolivariani che a quel continente conferiscono la dignità di “Grande patria”. Una visione evocata più volte dal nuovo Papa nei viaggi Oltreoceano, a partire dal primo, quello di sei anni fa in Brasile.

Certo i dirigenti degli Stati Uniti che considerano il Sud America come il cortile di casa e ugualmente vogliono dividerlo dal loro paese con un muro invalicabile, non amano la prospettiva aperta da Simon Bolivar di una sola grande nazione latinoamericana, che se realizzata garantirebbe un reale multilateralismo al servizio della pace, in quanto avremmo finalmente quel mondo multipolare teorizzato dalle Dottrina Sociale della Chiesa.

L’affermazione della pari dignità tra le persone in un Continente dove oltre il 90 per cento delle ricchezze continua ad essere concentrato nelle mani di poche famiglie, accomuna il Papa attuale ai teologi della liberazione come Gutierrez e Boff, ma anche, con gli opportuni distinguo, a leader  politici rivoluzionari come Castro e Chavez.

Del resto Francesco ama riferirsi alle categorie della Teologia del Popolo, che propone una purificazione della religiosità popolare ma certo non fa sconti, sul piano etico, riguardo al dovere di lottare per stabilire una giustizia sociale che deve necessariamente basarsi sull’affermazione dell’uguaglianza nei diritti e sulla ridistribuzione delle ricchezze, ovvero sulla concretizzazione delle rivendicazioni che Francesco ha riassunto con le parole “terra, casa e lavoro”.

I veri nemici del Papa

Ecco la ragione per la quale quelli che dall’assenza dei diritti di intere popolazioni e dalla loro conseguente povertà traggono vantaggio, come i latifondisti e le multinazionali più spregiudicate, per non parlare della lobby dei fabbricanti di armi che trae profitto dal neo colonialismo esercitato dagli Usa e dalle controversie di Trump con gli Stati definiti canaglie, sono diventati i più acerrimi nemici del Papa, che combattono in particolare con la propaganda mediatica.

Esistono vere e proprie centrali che finanziano la ricerca e la diffusione di pretesti dottrinari per scagliarsi contro Francesco, come accaduto con la formulazione dei “dubia” di 4 anziani cardinali contrari alla prudente e graduale riammissione alla comunione di divorziati risposati che – in sintonia con l’esortazione post sinodale Amoris laetitia – chiedono solo di avere l’aiuto dei sacramenti per camminare con le loro famiglie alla luce di una fede riscoperta e vissuta finalmente con impegno e serietà.  E una nuova battaglia si annunzia al Sinodo sull’Amazzonia, che toccherà il tema dei ministeri nella prospettiva di un maggior coinvolgimento femminile e della possibilità di ordinare sacerdoti anche uomini sposati di provata fede per garantire l’Eucaristia nei territori non raggiunti regolarmente dal clero attuale.

La rischiosa teoria degli opposti estremismi

Per difendere il Papa dalla virulenza degli attacchi a volte si rischia tuttavia di minimizzare la portata del suo rivoluzionario magistero, enfatizzandone i tratti comuni con gli altri Pontificati. Una continuità che, ovviamente, in parte esiste ma non rappresenta il dato principale dei sei anni trascorsi dall’elezione del 13 marzo 2013. Invece si cerca di collocarlo in un’improbabile terza posizione, in equilibrio tra gli opposti estremismi.

“Quando Francesco parla della povertà, alcuni – ha spiegato il direttore editoriale del dicastero, Andrea Tornielli – dicono che sia marxista o comunista, semplicemente perché non conoscono i Padri della Chiesa antica che mille anni prima del marxismo e del comunismo hanno già detto cose molto forti sull’attenzione ai poveri e l’uso del denaro. Di loro nessuno ha detto che erano marxisti solo perché il marxismo non esisteva ancora”.

Secondo Tornielli, “non tutto ciò che il Papa fa o dice è nuovo” e “la cosa più difficile è provare a tirarlo fuori dal fuoco incrociato di due gruppi avversari”. Riflettendo ad alta voce sul ruolo che gli ha affidato Bergoglio, il prestigioso vaticanista applica dunque al Pontificato la rischiosa teoria degli opposti estremismi. “Come tutti gli altri media nel mondo, dobbiamo scegliere ogni giorno – ha dichiarato al quotidiano spagnolo El Mundo – quali notizie consideriamo importanti e come presentarle a coloro che ci ascoltano, ci vedono, e ci leggono”.

Una linea che ad oggi porta i media vaticani ad ospitare, ad esempio, le fake news sul Venezuela, la Bolivia e il Nicaragua, ignorando che spesso in America Latina la ricerca della giustizia sociale viene ostacolata da una Gerarchia espressa dalle famiglie tradizionalmente dominanti. Una situazione con la quale Papa Francesco invece si scontra, come abbiamo visto ad esempio in Colombia con la chiesa locale che ha fatto naufragare il referendum sugli accordi di pace, per i quali il Pontefice si era impegnato personalmente.

La Patagonia prima della Luna, un appello ineludibile alla giustizia sociale

“Cari fratelli e sorelle, cinquant’anni fa come ieri l’uomo mise piede sulla Luna, realizzando un sogno straordinario. Possa il ricordo di quel grande passo per l’umanità accendere il desiderio di progredire insieme verso traguardi ancora maggiori: più dignità ai deboli, più giustizia tra i popoli, più futuro per la nostra casa comune”, ha detto Papa Francesco invitando i fedeli a fare un bagno di realtà all’indomani delle celebrazioni mediatiche dell’Allunaggio.

Nell’unirsi alla gratitudine per quell’impresa, nell’Angelus del 21 luglio il Pontefice ha inteso richiamare il fatto che nel mezzo secolo trascorso dalla memorabile impresa della NASA la situazione dell’umanità non è cambiata abbastanza: l’ingiustizia infatti regna sovrana mentre i poveri pagano il prezzo anche dei disastri ecologici innescati dall’ingordigia dei ricchi e dei potenti. E salutando la folla di piazza San Pietro, Francesco si è rivolto alle novizie salesiane, cioè alle Figlie di Maria Ausiliatrice presenti all’appuntamento, dicendo: “spero che qualcuna di voi vada in Patagonia, c’è molto bisogno lì”. Proprio la Patagonia, infatti, è un esempio dello scandaloso squilibrio tra poveri e ricchi nel mondo e in particolare in America Latina.

Anche da superiore provinciale dei gesuiti e poi da vescovo, Jorge Mario Bergoglio si era  sempre preoccupato dei bisogni spirituali e materiali della Tierra del fuego, il territorio argentino-cileno abitato fin da prima della fondazione degli Stati nazionali dai fieri popoli nativi. Qui, nelle enormi estancias che si allungano per decine di migliaia di ettari ai piedi della Cordigliera, l’ingiustizia regna davvero sovrana. Ad esempio la multinazionale italiana dei Benetton pratica l’allevamento intensivo di bovini e ovini, coltiva cereali, produce carne, piantuma alberi, mentre la “gente della terra” (questo significa la parola Mapuche) – viene cacciata via.

di Salvatore Izzo -AGI

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