Salute

Un altro nisseno nel carcere lager romeno, è il trentenne Luca Cammalleri: “Un incubo che ci sta soffocando”

Marcella Sardo

Un altro nisseno nel carcere lager romeno, è il trentenne Luca Cammalleri: “Un incubo che ci sta soffocando”

Lun, 19/02/2024 - 16:14

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Nel carcere lager di Porta Alba a Costanza, in Romania, sono due i Nisseni reclusi che stanno scontando, dal maggio 2023, una pena che ammonta a poco più di otto anni.

Oltre Filippo Mosca, il cui caso è diventato tristemente noto dopo l’accoltellamento subito nella cella di circa 30-35 metri che condivideva con altre 22 persone, c’è anche Luca Cammalleri.

La famiglia del giovane trentenne ha sempre mantenuto il riserbo sulla vicenda per timore che la visibilità mediatica potesse arrecare ritorsioni poichè Luca, proprio come il suo amico e compagno di cella, già vive in condizioni fisiche e psicologiche molto precarie.

Adesso, però, i suoi cari hanno scelto di parlare per raccontare tutto ciò che stanno vivendo questi 3 giovani italiani in Romania, fatti reali e al limite della crudeltà. Insieme a loro, per traffico internazionale di stupefacenti, è stata arrestata anche un’altra ragazza partita con loro.

“Mio fratello Luca è un ragazzo buono, generoso e sempre pronto ad aiutare il prossimo. Chi lo ha conosciuto sa che ha un carattere allegro e solare – ha raccontato il fratello maggiore, Pietro -. Anni fa la carenza di lavoro in Sicilia lo ha portato ad andare all’estero, alla ricerca di nuove opportunità, ma è rimasto sempre il ragazzo che tutti conoscevamo”.

I familiari non vogliono parlare della vicenda che lo ha portato all’arresto e alla carcerazione. Quella è una questione che si discuterà nelle aule di un tribunale romeno. Ciò che veramente è importante, in questo momento, è la salute di Luca e il suo benessere dentro le mura della cella.

“Vado in Romania tutte le volte che posso, lo faccio per stargli vicino, per incoraggiarlo a resistere e aggiornarlo sugli sviluppi della causa. Questo è l’unico aiuto che gli posso dare” ha proseguito il fratello Pietro spiegando che per la vicenda legale, così come previsto dalla normativa di quello Stato, hanno assunto dei legali rumeni. “Ormai lavoro soltanto per poter guadagnare i soldi necessari a tutelare mio fratello e i suoi diritti” ha proseguito Pietro che tra viaggi, parcelle degli avvocati e denaro che consente a Luca di poter acquistare del cibo “decente” allo spaccio della prigione, però, ammette che le risorse economiche non sono mai sufficienti. Ed è per questo che, in accordo con la madre Rosalba, ha lanciato una raccolta fondi per chiedere ai propri concittadini di aiutarli in questa battaglia umana.

“Luca è sempre stato un ragazzo speciale – racconta il fratello maggiore -. E’ lo stesso ragazzo che frequentava le aule della scuola Pietro Leone, che andava a lezioni di Basket dal mister Emilio Galiano”.

Ma il carcere duro lo ha provato oltre ogni sua tolleranza e il limite, in passato, era stato già ampiamente superato.

La vita per la famiglia Cammalleri è stata un percorso in salita. Il padre Giuseppe, co-proprietario di un negozio di arredamento molto noto in città, è morto in seguito a un incidente motociclistico. Un destino che ha cambiato il corso della vita di tutto il nucleo familiare. La madre Rosalba ha fatto di tutto per poter colmare il vuoto di questa presenza così importante donando ai figli – che all’epoca avevano soltanto 7 e 9 anni – amore, attenzione, stabilità e quel pizzico di spensieratezza che permette di vivere con il sorriso ogni evento della vita, anche se doloroso.

L’assenza del padre, però, ha pesato molto nel piccolo Luca che, crescendo, non è riuscito a trovare il suo percorso formativo scegliendo prima di frequentare l’istituto alberghiero “Sen. A. Di Rocco”, poi il “Rapisardi – Da Vinci” e, infine, a prevalere è stata la scelta di andare all’estero. Nonostante le distanze e le difficoltà il rapporto tra i due fratelli è rimasto molto forte e simbiotico, mostrandosi sempre pronti ad aiutarsi per qualsiasi cosa. Certamente Pietro non pensava che avrebbero dovuto affrontare una vicenda così tragica e che sarebbe diventato il pilastro sul quale il fratello si sta attualmente reggendo.

E di “tragico” il carcere nel quale è detenuto Luca da circa 10 mesi, ci sono molte sfaccettature.

“Chiediamo ai nostri concittadini di aiutarci a sostenere Luca in questa sua lotta per la sopravvivenza anche aderendo alla raccolta fondi che abbiamo avviato. Ogni mano tesa potrà fare la differenza”.

In questi mesi Luca ha avuto come unico conforto quello della presenza dell’amico Filippo Mosca. I due hanno cercato di “guardarsi” a vicenda dai ratti e dalle blatte che circolano nella cella, animali pericolosi quanto gli altri detenuti pronti – come è capitato a Filippo – a conficcare un coltello nella loro carne. Stanno ancora combattendo per non cedere alla depressione di un destino che sembra segnato ma al quale ancora non vogliono rassegnarsi, si sentono spezzati dalle condizioni di vita dalla violenza psicologica e fisica vissuta e dalla percezione di essere stati abbandonati dalle loro istituzioni, quella italiana così come quella europea. E di quel sorriso che illuminava il suo volto, non si trova quasi più traccia.

La campagna mediatica che ha portato avanti Ornella Matraxia, mamma di Filippo, ha garantito un leggero miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie dei due giovani – rinchiusi in un braccio differente rispetto all’altra amica con la quale erano stati fermati in Romania – ma non si può ancora parlare di “condizioni decenti”.

Il cibo servito è immangiabile e per nutrirsi sono costretti ad acquistare alimenti allo spaccio della struttura. Non possono fidarsi di nessuno lì dentro e i loro avvocati sono per loro sconosciuti che parlano una lingua diversa dalla loro. I contatti con i loro familiari sono brevi e non sufficienti a poter offrire quella luce che aspettano da troppo tempo. Reclusi tutto il giorno, senza far null’altro se non una partita a carte e rimuginare sul loro presente, la paura di restare inghiottiti in quella cupa struttura di Costanza è troppo forte e rischia di schiacciarli.

La speranza di un trasferimento in un altro carcere o gli arresti domiciliari restano ancora il desiderio più grande da concretizzare ma il dolore per le condizioni fisiche sempre meno temprate e la paura di ripercussioni psicologiche per l’attenzione mediatica è ancora troppo grande per restituire coraggio.

I familiari, però, non intendono mollare ma continuare a far sentire la loro voce per avere giustizia. Una forza di volontà che arriva dall’orrore visto in quella struttura, che avvertono al telefono o vedono con i loro occhi quando li vanno a trovare. Un coraggio spesso che si mostra come una corazza protettiva perchè Pietro Cammalleri confessa che ogni volta che sale sull’aereo, per tornare in Italia, avverte dentro di sé la nauseante sensazione di aver abbandonato il fratello al suo destino.

Era il 1764 quando Cesare Beccaria scrisse il saggio “Dei delitti e delle pene” affermando con forza l’importanza di una giusta proporzione tra la misura del danno provocato alla società e l’azione applicata all’individuo. Quei presupposti, delineati circa 300 anni fa, non dovrebbero essere messi in discussione in nessun luogo perché si tratta di “diritti umani inviolabili”, a prescindere dalle vicende giudiziarie personali e dallo Stato che le applica.

Qui, per Luca Cammalleri e Filippo Mosca, a essere violata è stata innanzi tutto la dignità dell’essere umano. E questo è inaccettabile.

Per contribuire alla raccolta fondi e aiutare Luca Cammalleri e i suoi familiari accedi al link http://gofund.me/35abf1e7

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