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Caltanissetta, coniugi condannati per estorsione: chiedevano la restituzione di parte dello stipendio ai dipendenti

di Vincenzo Falci - Giornale di Sicilia

Caltanissetta, coniugi condannati per estorsione: chiedevano la restituzione di parte dello stipendio ai dipendenti

Gio, 21/12/2023 - 11:42

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Condannati per avere praticato la “cresta” alle buste paga dei dipendenti. Che prima avrebbero ricevuto lo stipendio con assegno e poi avrebbero dovuto restituire parte della retribuzione. Gli stessi, peraltro, che sarebbero stati costretti a subire altri ricatti pena il licenziamento. Già, prendere o lasciare per non restare senza lavoro. Che, alla fine, hanno perso ad ogni mondo.

Così, dopo quattro processi, è arrivata la condanna della sessantasettenne L. P. ex amministratore unico della «Almas srl» società che commercializzava abbigliamento e del marito, il settantunenne G. A. socio della stessa  ditta (difesi dagli avvocati Alfredo Danesi e Giuseppe Fussone), ora condannati a 3 anni e 7 mesi di carcere ciascuno per estorsione con l’aggravante, per l’accusa, di avere commesso il fatto con abuso di autorità. In più, oltre all’interdizione dai pubblici uffici per i prossimi cinque anni e il pagamento delle spese legali, dovranno pure risarcire le parti civili.

Ruolo, questo, rivestito da tre dipendenti dalle cui denunce ha preso le mosse l’indagine, ossia le sessantanovenni Rita Daniela Sabatino e Valeria Pennisi e la cinquantenne Rosa Maria Lo Cascio (assistite dagli avvocati Dino Milazzo e Cristian Morgana). Le tre sono state alle dipendenze della «Almas» dal 13 gennaio 2011 fino a quando, nel marzo del 2013, è arrivato il licenziamento per cessata attività. Il verdetto di condanna è stato emesso dalla corte d’Appello presieduta da Maria Carmela Giannazzo (consiglieri i giudici Alessandra Bonaventura Giunta e Giuseppe Tripi), che ha accolto le richieste della procura generale e delle parti civili.

Così si è chiuso questo quarto processo in un altalenare di verdetti. Già, perché in primo grado, il 5 aprile di sei anni fa, i due imputati sono stati assolti nonostante una richiesta di condanna, da parte dell’accusa, a quattro anni di reclusione. Poi, nel primo appello – era il 16 novembre di due anni fa – la corte ha ribaltato quel primo pronunciamento condannando entrambi gli imputati a tre anni e cinque mesi e una multa di settecento euro ciascuno. A rimettere tutto in discussione, nel marzo scorso, è stata la Cassazione che ha inferto il colpo di spugna annullando la precedente sentenza, per un nuovo processo d’appello. Quello che s’è adesso chiuso con la condanna di marito e moglie. Secondo il teorema accusatorio i datori di lavoro avrebbero costretto le loro dipendenti a restituire una parte dei loro stipendi, le avrebbero sfruttate impiegandole, in realtà, a tempo pieno anche se i contratti sarebbero stati part-time e non sarebbero stati pagati loro neanche lavoro straordinario, festivi e altro ancora.

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