Salute

Coronavirus, nelle chiese nissene: né scambio del segno di pace, né la particola in bocca e niente acqua per il segno della croce

Walter Guttadauria - La Sicilia

Coronavirus, nelle chiese nissene: né scambio del segno di pace, né la particola in bocca e niente acqua per il segno della croce

Lun, 02/03/2020 - 12:17

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CALTANISSETTA – I nisseni, recatisi a messa, non si sono dati la mano per scambiarsi il segno di pace, mentre hanno dovuto prendere in mano la particola della comunione e non direttamente in bocca, e non hanno trovato acqua nelle acquasantiere per farsi il segno della croce. Ma già dallo scorso mercoledì delle Ceneri i sacerdoti della Diocesi di Caltanissetta hanno dovuto eseguire le disposizioni impartite dal vescovo mons. Russotto, a loro volta dettate dalla Conferenza episcopale italiana e da quella siciliana, circa le precauzioni da usare per evitare rischi di contagio da Coronavirus.

Si sta ripetendo, in sostanza, quanto accaduto anni fa con l’epidemia di Sars, con un clima di preoccupazione, in certi casi sfociata però in esagerato allarmismo. Ma quale è stato, nella nostra storia, il rapporto dei nisseni con le epidemie, laddove la città ne è stata direttamente interessata? Le cronache degli storici locali ricordano soprattutto quelle scatenatesi nell’800, quando più volte, ad esempio, anche nella nostra città, come nel resto dell’isola, si manifestò il colera. Particolarmente funeste le epidemie del 1837, 1854 e 1866-1867, anche se nelle prime due fortunatamente si registrarono poche vittime tra la popolazione che rinnovava in quei tristi frangenti il suo ringraziamento al protettore San Michele, il liberatore dalla peste del 1625, in cui onore venne eretta nel 1837 la chiesa di contrada Calcare.

Molto più letale, invece, il contagio propagatosi tra la fine del 1866 e il 1867 con oltre settemila morti nell’intera provincia, di cui 725 registrati a Caltanissetta. A leggere le cronache del tempo, suscitano curiosità le misure che venivano adottate (ma non sempre al meglio) dalle autorità politiche e sanitarie per fronteggiare l’epide – mia. Così come spiccano le figure di quanti allora si prodigarono in aiuto dei colpiti, primo tra tutti il vescovo del tempo, mons. Giovanni Guttadauro.

Nel 1885 il morbo si ripresentò in Sicilia, ma stavolta il cordone sanitario allestito a Caltanissetta evitò la penetrazione del contagio, anche perché non veniva fatto entrare in città alcun forestiero se non previa visita medica. Non andò meglio, invece, nel 1887 quando una nuova epidemia propagatasi da Catania arrivò tra noi mietendo stavolta altre vittime. Ma non era solo il colera, oltre un secolo fa, ad intimorire i nisseni che avrebbero dovuto più tardi fare i conti con altri mali, come il vaiolo tra il 1888 e il 1889 (264 morti nella sola Caltanissetta) ripresentatosi, in modo meno grave, dal 1905 al 1906. Poi la paura – e ormai per il mondo intero – si sarebbe chiamata “spagnola”, tifo e tanto altro ancora, fino ad arrivare all’allarme Sars del 2003 e a quello ebola del 2014.

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