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Telecom Italia e Open Fiber: le difficoltà e gli svantaggi della rete unica

Redazione

Telecom Italia e Open Fiber: le difficoltà e gli svantaggi della rete unica

Lun, 03/08/2020 - 19:15

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Il bisogno di collegare tutti gli italiani ad una rete a banda larga ha spinto l’Italia ad aprire le discussioni per la creazione di un accordo tra Enel e Telecom Italia. Nel tentativo di creare una rete unificata entro la fine di luglio, secondo il governo italiano TIM dovrebbe collaborare con l’Open Fiber, l’operatore all’ingrosso di Enel e CDP (Cassa Depositi e Prestiti). Anche Telecom Italia appartiene in parte alla CDP, ma questo non è servito a rimuovere le divergenze sulla regolamentazione e la governance da applicare. Anche se queste differenze vengono superate e TIM ed Open Fiber riescono a trovare un accordo, è difficile immaginare che l’autorità della concorrenza approvi una fusione tra i rivali. Una fusione TIM-Open Fiber riporterebbe l’Italia ai tempi in cui, sotto il monopolio di Telecom Italia, il paese aveva la peggiore connettività in tutta Europa.

Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha richiesto la firma di un memorandum d’intesa tra i due colossi entro la fine di luglio—secondo lui, questo accordo è importante non solo per una connessione ad Internet più veloce, ma anche per rilanciare l’economia italiana dopo il periodo di stallo a causa del virus. Ha in parte ragione: il periodo della quarantena ci ha infatti evidenziato l’importanza della creazione di una banda larga potente e stabile sul nostro territorio. Ci troviamo in un periodo in cui lo smart working è ormai la regola, come lo è anche lo studio a distanza. Inutile evidenziare anche quando sia rilevante una connessione affidabile e veloce anche per le imprese sul nostro territorio che fanno sempre più affidamento sull’economia digitale.

Pur trovandoci a metà della classifica tra gli stati europei per il maggior numero di linee installate ed accese, la ricerca effettuata da IDATE ci colloca al quintultimo posto. Se da un lato abbiamo un buon numero di abbonamenti attivi, dovuto anche al grande numero di abitanti sul nostro territorio, solo il 4,1% utilizza in realtà la fibra. L’installazione della banda larga in Italia si è accelerata dopo l’ingresso nel mercato di Open Fiber. Operativa dal 2016, essa è stata creata con lo scopo di creare una nuova rete, interamente in fibra ottica. Il modello di business adottato è però all’ingrosso, e quindi si tratta di un operatore che si occupa dell’installazione delle reti ma che poi fa affidamento sugli altri per la vendita del servizio e la sua connettività.

È qui che nasce il disaccordo con TIM: quest’ultimo segue ancora il modello classico di installazione e vendita diretta al cliente finale. I due si trovano quindi in un rapporto concorrenziale e l’ex monopolista della telefonia statale è restio al cambiamento, tanto è vero che è stata condannata anche dall’Autorità antitrust per comportamenti abusivi verso i nuovi entranti nel settore.

Il modello FTTH, ovvero Fiber to the home ha avuto un certo successo negli altri paesi europei come Irlanda, Regno Unito e Svezia, sia su base regionale che nelle zone rurali. Ma la differenza sta chiaramente nell’utilizzo positivo della concorrenza e il desiderio di portare avanti il cambiamento. La creazione di un monopolio delle infrastrutture integrato verticalmente, cosi come desiderato da TIM, potrebbe essere disastroso per l’evoluzione tecnologica nel nostro paese. La mancanza di concorrenza in questo campo negli ultimi anni e il monopolio, hanno fatto sì che sul nostro territorio ci fosse un rallentamento in termini di connettività, interrotto solo dall’arrivo di Open Fiber.

Un ulteriore ritardo arriva anche dall’opposizione dell’Autorità di vigilanza sulla concorrenza che ha già multato Telecom Italia con ben 116 milioni di euro per l’abuso di posizione sul mercato. Quest’ultima avrebbe infatti impedito l’ingresso di competitori, ostacolando anche gli investimenti nella banda larga ultraveloce.

L’indagine è partita pochi anni fa, quando TIM lanciò Cassiopea, il piano per la diffusione della banda veloce nelle zone in cui ci poteva esserci un ritorno economico. Questa decisione aveva costretto il Comune di Roma ad aprire delle gare d’appalto sovvenzionate dallo Stato per ricoprire anche quelle zone rurali lasciate fuori dalla copertura.

Purtroppo però, con la partecipazione alle gare di Open Fiber, Telecom Italia tornò sui suoi passi investendo anche su quelle zone e giustificandosi con il cambiamento della richiesta di mercato. Questa attività è stata definita come sleale dall’Autorità Antitrust, ed un tentativo da parte del colosso di mantenere la propria posizione dominante, ritardando cosi anche le gare d’appalto.

La fusione TIM-Open Fiber sembra essere ostacolata da più fronti e che vanno al di là dell’impossibilità di accordarsi. Le continue udienze e i provvedimenti presi dall’Autorità Antitrust rallentano il procedimento, impedendo la presa di accordi prevista per la fine di questo mese. L’autorità della concorrenza ha ragione di preoccuparsi, perché il rischio di un accordo tra TIM ed Open Fiber è quello di tornare nel passato, quando la mancanza di concorrenza inibiva lo sviluppo digitale.

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