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“Le belle addormentate”: vita, morte, musica e speranza in Rosso riletto da Aldo Rapè

Fiorella Falci

“Le belle addormentate”: vita, morte, musica e speranza in Rosso riletto da Aldo Rapè

Lun, 27/05/2019 - 14:51

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Un testo centenario, “la Bella addormentata” di Rosso di San Secondo, rappresentato a Milano nel 1919 scatenando tra il pubblico reazioni e polemiche violente, riproposto a Caltanissetta da Aldo Rapè nel teatro che di Rosso ha ripreso il nome, come frutto di un laboratorio teatrale che lo ha ri-generato e riproposto nella coralità simbolica che nel Rosso originale era solo evocata e che oggi viene esplicitata come in una camera degli specchi, che moltiplica le immagini in un caleidoscopio inquietante.
Ri-ambientata negli anni ’40 la vicenda, nove le Belle, addormentate dalla violenza subita, che le ha portate nel lupanare a riprodurre una sequenza di vita ossessivamente identica a se stessa, in un corto-circuito di desiderio-attesa-delusione-competizione-solidarietà-vendetta sempre ripetuto.
Icona sul fercolo come una Vara la decima Bella, nel ruolo unico/moltiplicato in cui si alternano tutte, intorno alla quale si agitano figure maschili sbiadite, irresponsabili, straniate, utenti-consumatori della visione bramosa e sterile della Bella.
La morte è bandita dalla rivisitazione del dramma sansecondiano: il notaio, la Bella, il piccolo Nico, non muore nessuno nella sarabanda finale, e la musica della vitalità scandisce quasi ininterrottamente le azioni in scena: o il jazz in sottofondo o la banda “municipale” (citazione sansecondiana?) dei giovani musicanti sul palco accanto agli attori.
La morte come condizione dell’esistenza spadroneggia invece nel finale: Il silenzio, assolo di tromba, ricorda le vittime della violenza, le donne schiacciate dai femminicidi e le vittime della strage di Capaci (di cui ricorre l’anniversario proprio nel giorno della rappresentazione), ma forse accompagna anche il destino segnato di una città che sembra ormai addormentata da anni, e alla quale Rosso di San Secondo pensava, quando la rappresentava come l’innocenza violentata di una giovane costretta alla prostituzione, difesa e salvata soltanto dal coraggio provocatorio di uno zolfataro.
Il notaio-icona della banalità del male, testimone della mediocrità di una borghesia che di questa città ha saputo soltanto sfruttare la bellezza e bruciare l’innocenza, somiglia tanto, nella rivisitazione di Aldo Rapè, all’anonimato rapace e irresponsabile di chi distrugge senza rendersene conto, colpevole “a sua insaputa” della perdizione della Bella, che fino alla fine non capisce qual è la sua colpa, mentre invece è chiaro a tutti gli altri, ed esce di scena ininfluente come insignificante c’era entrato.
Un segno forte di speranza c’è in questo lavoro: decine di persone, donne e uomini, tanti giovani, tutti nisseni, di tutte le età, le professioni e le condizioni sociali, hanno lavorato per mesi al testo di Rosso, alla sua riscrittura, alla sua rappresentazione, alla sua interpretazione applicata alla contemporaneità, con un regista nisseno, in un teatro nisseno, e lo hanno fatto con un respiro europeo, proiettati in un orizzonte ampio, facendo della marginalità dei personaggi, degli ambienti, delle situazioni, un punto di forza, una fonte di energia, un motore di coraggio.
Il plurale del titolo sottolinea questa condizione comune, condivisa, che si può ribaltare solo collettivamente, come genere e come comunità: e forse la chiave per aprire questa porta di futuro è la figura della zia del notaio, la vecchia “pazza” che sulla scena è un uomo, sintonizzata con le ragioni della giustizia sostanziale, capace di uscire dalla difesa gretta dei suoi privilegi e di fare saltare il banco e spingere al matrimonio riparatore con la Bella.
Forse come lei dovremmo sapere uscire dagli stereotipi, capovolgere i ruoli, rinunciare al perbenismo borghese che narcotizza gli slanci e fare saltare il banco dei giochi già decisi da qualche altra parte, per proporre l’impensabile e realizzare l’impossibile. Forse così si potrebbe svegliare e salvare, la Bella addormentata di oggi.

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