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Le riflessioni di Richelieu sul nuovo Governo regionale: “Chi sono i burattinai?”

Redazione

Le riflessioni di Richelieu sul nuovo Governo regionale: “Chi sono i burattinai?”

Sab, 01/11/2014 - 01:12

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imageCALTANISSETTA – Che differenza c’è tra un Governo regionale e un Consiglio di Amministrazione? La politica siciliana somiglia sempre più alla copia sbiadita e non immacolata dell’economia del secolo scorso: i partiti come azionisti con i loro “pacchetti” di voti al posto delle azioni, cartelli di questi capitali per comporre maggioranze e minoranze, l’Amministratore Unico che agisce come organo monocratico.

La definizione più semplice (da Wikipedia) è chiara: “Le legislazioni ottocentesche concepivano gli amministratori come semplici mandatari dell’assemblea degli azionisti, che aveva competenza e poteva impartire loro istruzioni in ogni momento; invece, le legislazioni attuali attribuiscono al consiglio di amministrazione i più ampi poteri di gestione, limitando la competenza dell’assemblea a determinati atti (nomina e revoca degli amministratori, approvazione dei bilanci, modifiche allo statuto etc.).”

Non è forse avvenuto questo nell’ultima crisi regionale? Trattative estenuanti per redistribuire gli assessori, calibrando le quote dei partiti e dei gruppi parlamentari con l’escamotage della moltiplicazione dei gruppi come le “scatole cinesi” delle società quotate, scomponendo Megafono, PDR di Cardinale, (matrioske del PD), art. 4 di Leanza, oltre all’UDC,  “survivor” in Sicilia come gli ammutinati del Bounty su un’isola del Pacifico nel 1789.

Alla fine il colpo di scena: l’assessore al Bilancio nominato direttamente da Renzi: Alessandro Baccei, commissario “continentale” sui conti della Regione, che ha tolto di mano il salvadanaio a  Crocetta, con buona pace dell’Autonomia “speciale” siciliana e dei proclami sulla rivoluzione, che era già cominciata senza che se ne fosse accorto nessuno.

A proposito di rivoluzione, ma dei contenuti che dovranno qualificare il nuovo Governo, come mai non ha parlato nessuno,nemmeno per salvare le apparenze? Nemmeno per motivare la sfiducia e la crisi?

Il Governo precedente non è caduto per divergenze insanabili su come rilanciare il lavoro e l’economia, su come risolvere i problemi dei rifiuti e delle discariche, su come  risanare e rimettere in moto la formazione professionale, la sanità, su come costruire un sistema efficiente di trasporti con le risorse messe a disposizione per la gestione della rete Trenitalia, e nemmeno, persino, sulle politiche antinquinamento e il MUOS di Niscemi.

Niente di tutto questo ha diviso gli azionisti della maggioranza e nemmeno ha connotato gli azionisti dell’opposizione. Almeno apparentemente. Il dibattito politico non se n’è interessato.

Soltanto organigrammi, valutazioni “ad personam”, tiro a segno sugli assessori da sostituire, come se il problema della Sicilia fosse quello della rottamazione del ceto politico e della redistribuzione delle quote di potere (potere di fare cosa?), e non invece quale progetto di società si mette in campo, chiamando a costruirlo tutte le energie positive, misurando su questo progetto amici e nemici, legalità e malaffare, sviluppo e sottosviluppo, buona politica e clientelismo.

Del gioco degli organigrammi e delle strategie del posizionamento politico la Sicilia non sa più che cosa farsene, perché non è più il tempo in cui gli interessi economici, la spesa pubblica, gli affari, ruotavano intorno ai rapporti con la politica e con le istituzioni. Oggi casomai è il contrario. Sfacciatamente.

Sono gli affari e gli interessi a generare i soggetti politici e a pilotare i loro posizionamenti. Tra il Palazzo e le banche, le “comitive” e i conti correnti, senza passare attraverso la società, nemmeno per lasciare cadere le briciole.

Chi se ne è accorto, per esempio, a Caltanissetta, che da due anni l’Assessore alle attività produttive è espressione di questo territorio? Quali dinamiche nuove sono state introdotte nel tessuto economico della Sicilia interna, quali occasioni reali di invertire la deriva agonizzante che sta desertificando con l’emigrazione i nostri paesi e le nostre città?  Eppure è proprio una delle due uniche riconfermate al Governo. Merito dello sponsor, sicuramente, che ha saputo pesare di più dello sponsor della studentessa fuori-corso che stava alla Formazione, e che è stata messa da parte. Almeno per il momento.

Anche le riforme senza spesa non hanno idea di come impostarle: la fine delle Province e il limbo attuale, mentre si avvicina il 31 dicembre senza una legge che ne ridefinisca i compiti e le risorse, ne è la dimostrazione drammatica.

Eppure, sulla riorganizzazione del territorio e delle istituzioni sovracomunali, (ATO idrico e rifiuti, IRSAP, Consorzi, Camere di Commercio, etc.) si potrebbe costruire un pezzo qualificante di un progetto nuovo di sviluppo. Se solo se ne avesse l’idea, e la volontà.

Di quale rivoluzione parlerà da domani Crocetta? E a chi?  Alla maggioranza protervamente autoconservativa dell’ARS che ha respinto la sfiducia al suo Governo, 44 a 37, per rimanere tenacemente abbarbicata al proprio seggio parlamentare così ben retribuito come di questi tempi non se lo sogna nessuno?

Ormai il trucco gli si scioglie mestamente sul volto, sotto i riflettori dei media, nel rito stanco della propaganda. Non è la fatica di chi sta spendendo tutte le proprie forze per cambiare la realtà che è stato chiamato a governare. E la disfatta di chi, gridando da dentro il Palazzo in favore di telecamere, si accascia progressivamente come un burattino a cui il puparo sta sciogliendo i fili per appenderlo al chiodo. Prima o poi.

Personaggio decadente, Rosario, poeta-vate della legalità rivoluzionaria senza la forza di una rivoluzione autentica, parole infuocate in esaurimento, non sa esistere nel silenzio operoso del lavoro quotidiano, tenace, nella macchina infernale delle istituzioni regionali, che in due anni di governo avrebbe almeno potuto cominciare a smontare. E non con le raffiche di nomine di amici-fedeli come ai vertici della Sanità o nelle partecipate.

La Sicilia forse se lo è meritato. Ma se lo meritano i nostri figli?

Richelieu Richelieu

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