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Grasso – Caselli, le ruggini tra i PM delle due Fazioni in procura di Palermo

Redazione

Grasso – Caselli, le ruggini tra i PM delle due Fazioni in procura di Palermo

Mar, 26/03/2013 - 21:46

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PALERMO – La loro vicenda ricorda un po’ un racconto di Joseph Conrad dal titolo emblematico: “I duellanti”. Ed è la storia di un duello lungo quasi una vita. I protagonisti dell’opera del romanziere polacco sono due ufficiali francesi degli Ussari dell’epoca napoleonica, ossessionati da una assurda rivalità. Questa storia racconta, invece, l’antica contrapposizione tra due magistrati, Giancarlo Caselli e Pietro Grasso. Si sono contesi incarichi e poltrone, entrambi hanno fatto radiose carriere, ma la vecchia ruggine non è mai sparita. Ed é rimasta incrostata sui muri di quello che è stato definito il palazzo dei veleni, il tribunale di Palermo, che ha visto entrambi alla guida della procura della Repubblica. E ha finito per condizionare e corrodere, anche quando entrambi avevano lasciato Palermo, i rapporti tra i pm nel tempo schierati per l’uno o per l’altro. Dopo anni e a distanza, ciascuno dal suo ruolo – Caselli è procuratore a Torino, Grasso, ex capo della Dna è ora presidente del Senato – continuano a sfidarsi. L’ultima puntata dell’antico duello è andata in onda nei giorni scorsi. Ed è terminata con la richiesta al Csm del magistrato piemontese di intervenire a sua tutela dopo le parole pronunciate da Grasso alla trasmissione de La 7 Piazza Pulita. L’ex capo della Dna ha raccontato la sua versione, tra l’altro, sulla sua nomina a capo della direzione nazionale antimafia a cui concorreva anche Caselli. Caselli ha risposto definendo le dichiarazioni del collega “accuse e allusioni suggestive” che hanno presentato “in maniera distorta vari fatti e circostanze”. A dividerli, oltre che caratteri e personalità, è un metodo: un diverso modo di concepire la politica giudiziaria e le indagini. Il magistrato piemontese, teorico del rapporto mafia-politica, è stato strenuamente convinto che Cosa nostra non si sarebbe mai sconfitta se non si fosse spezzato quel legame. I suoi detrattori lo accusano di volere riscrivere la storia e di “partire dall’alto”, di individuare, cioé, gli obiettivi politici – suoi i processi all’ex presidente del Consiglio Giulio Andreotti e all’ex ministro Calogero Mannino – e solo dopo cercare le prove. Grasso, invece, ha sempre fatto l’opposto: partendo dal basso, ad esempio dalle dichiarazioni dei pentiti, ha lavorato per cercare riscontri e ha scavato, imbattendosi anche lui in personaggi di livello: uno per tutti Salvatore Cuffaro. Chi lo critica dice che ha colpito solo la mafia dei pecorai. Ma Cuffaro sta scontando una condanna a 7 anni per favoreggiamento alla mafia. Comunque la si pensi, l’antica contrapposizione si è poi trasferita su chi è rimasto. E per anni, anche nella Procura di Francesco Messineo, ex caselliani, che hanno ritrovato in Antonio Ingroia un ‘padre”, ed ex grassiani, orfani del loro, hanno duellato sugli stessi temi. Una sfida che ha fatto vittime da entrambe le parti, con magistrati arrivati a lasciare l’ufficio per altri incarichi nella convinzione di non potere lavorare più alla Procura di Palermo. (Fonte ANSA)

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