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“Schiaffeggiare la moglie non è violenza”: il 40% degli italiani giustifica botte e abusi sessuali

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“Schiaffeggiare la moglie non è violenza”: il 40% degli italiani giustifica botte e abusi sessuali

Mer, 24/11/2021 - 09:05

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Stalking, catcalling, discriminazione di genere e disparità “devono essere risolti in via prioritaria da chi può”, sia se si parla di violenza fisica (60.8%), sia se si parla di quella psicologica (57.8%). Ma “schiaffeggiare la moglie non è violenza” per un italiano su 4. Sono i dati shock che emergono da una ricerca demoscopica realizzata da AstraRicerche con Rete antiviolenza del Comune di Milano e Gilead Sciences Italia alla vigilia del 25 Novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. A destare ulteriore sconcerto è che a giustificare botte e abusi sessuali, in particolare in famiglia, siano anche le vittime, proprio le donne.

Le violenze in famiglia giustificate e sottovalutate – I numeri sono drammatici:l’89% delle donne subisce violenza da parte di un famigliare: il 74% di coloro che maltratta veste i panni di mariti, conviventi, fidanzati o ex e il 68% di questi ultimi è di nazionalità italiana. Ma circa tre persone su dieci, per AstraRicerche, non considerano violenza “dare uno schiaffo alla partner se lei ha flirtato con un altro”; tra le donne, ne è convinto il 20%, mentre la percentuale sale al 40% per gli uomini. Ancora, un italiano su tre non considera violenza forzare la partner a un rapporto sessuale se lei non ne ha voglia; lo pensano circa quattro uomini e tre donne su dieci.

E ancora, un italiano su quattro pensa che non si possa davvero considerare una forma di violenza “commentare un abuso fisico subito da una donna affermando che è meno grave perché gli atteggiamenti di lei, il suo abbigliamento o aspetto comunicavano che era ‘disponibile'”. A pensarlo sono in maggioranza gli uomini (30%), ma anche la percentuale delle donne è significativa (20%).

Meno del 40% delle donne, inoltre, stando a una ricerca Ipsos per WeWorld, sono consapevoli di aver subito una forma di molestia almeno una volta nella vita; tuttavia, il 70% delle lavoratrici ha subito discriminazioni in ambito lavorativo, più del 40% dichiara di aver subito una forma di violenza e/o molestia oppure un atto violento o una forma di controllo in una relazione sentimentale o famigliare. Tra coloro che dichiarano di non aver mai subito molestia, invece, una su 5 dichiara a fine indagine di aver subito almeno tre forme di molestia all’interno di una relazione sentimentale/famigliare.

La violenza contro le donne è quotidiana, 89 al giorno subiscono reati, il 62% sono maltrattamenti in famiglia e pure recidivi (dati Polizia di Stato), i femminicidi sono dall’inizio dell’anno 103 (in aumento rispetto al 2020) e le donne che denunciano sono di più rispetto al passato, ma solo il 27% (dati Donne in rete contro la violenza) intraprende un percorso giudiziario.

Il tutto mentre il piano triennale anti-violenza istituzionale è scaduto nel 2020 e non è stato ancora rinnovato e i fondi ai centri sono bloccati.

I risultati – “Numeri – commentano gli stessi estensori della ricerca – che raccontano di un’Italia patriarcale, in cui c’è ancora tanto da fare in termini di informazione e sensibilizzazione. Una questione culturale che non è appannaggio dei soli uomini, ma che riguarda anche le donne.

Cosa fare? – “Il quadro generale che emerge – spiega Cosimo Finzi, direttore AstraRicerche – è quello di un’Italia ancora ancorata su certi retaggi, ma consapevole che la violenza di genere esiste ed è una questione prioritaria da affrontare. Lo dimostra il dato sulla percezione della parità di genere, definita come ‘condizione nella quale donne e uomini ricevono pari trattamenti, con uguale facilità di accesso a risorse e opportunità, indipendentemente dal loro genere sessuale’: solo per il 18,8% degli intervistati la parità di genere in Italia è reale, pienamente raggiunta”.

Sulle modalità per combattere il fenomeno della violenza gli italiani optano per la soluzione “culturale”: promuovere conoscenza e rispetto delle donne nelle scuole, di ogni ordine e grado. Al secondo posto inseriscono l’intervento sul welfare pubblico: orari di lavoro, offerta di servizi, sussidi per l’acquisto di servizio di asilo nido, riconoscimento del lavoro domestico. A seguire, i percorsi di empowerment femminile per le vittime di violenza quali sostegno psicologico, attività sull’autostima e la consapevolezza, supporto al reinserimento lavorativo e nella società (17,1% e 53,2%) e, infine, una legge che renda obbligatorio un periodo di paternità di 2-3 mesi (9,1% e 26%)”.

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