Salute

Minori, pediatria. Italia divisa a meta’ su mortalita’ infantile, +47% rischio morte al Sud

Redazione

Minori, pediatria. Italia divisa a meta’ su mortalita’ infantile, +47% rischio morte al Sud

Ven, 18/12/2020 - 09:23

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L’Italia ha i tassi di mortalita’ infantile tra i piu’ bassi del mondo, sono inferiori anche a quelli di paesi avanzati come Francia, Germania e Regno Unito, ma al suo interno si presenta spaccata a meta’. “Gli ultimi dati Istat relativi al 2017 mostrano che il tasso di mortalita’ infantile nella Penisola e’ di 2,75 per 1.000: meno di 3 bimbi su 1.000 muoiono nel primo anno di vita. Inoltre, la mortalita’ neonatale (i bambini che muoiono nei primi 28 giorni di vita) rappresenta il 70% della mortalita’ infantile, indicando che le prime settimane di vita, in particolare la prima, sono il momento piu’ critico dell’esistenza.

Pero’ nel Sud e nelle Isole i tassi di mortalita’ sono piu’ elevati rispetto al Centro e al Nord, tanto che un bambino che nasce nel Mezzogiorno ha il 47% delle probabilita’ in piu’ di morire rispetto a chi nasce al Nord Est”. A dirlo e’ Mario de Curtis, gia’ ordinario di Pediatria dell’Universita’ La Sapienza e Direttore dell’Unita’ di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Umberto I di Roma, nel corso della conferenza lincea ‘Bambini e disuguaglianze’. “Se l’Italia nel 2017 avesse avuto la stessa mortalita’ infantile che si registrava al Nord Est, sarebbero sopravvissuti nel primo anno di vita 195 bambini al Sud e nelle Isole, 5 al Centro e 36 al Nord Ovest”.

Andando poi a classificare le regioni in base ai livelli di mortalita’ infantile, il professore aggiunge che “su 10 mila bambini che nascono ogni anno, la Sicilia, la Calabria e la Campania guadagnano la bandiera nera, mentre la Toscana, il Veneto e l’Emilia Romagna si mostrano come le piu’ virtuose”.

ESISTE UNA ‘QUESTIONE MERIDIONALE’ PER L’INFANZIA – “Le cause sono legate ai problemi di ordine economico, sociale e organizzativo- spiega ancora De Curtis- se osserviamo la mortalita’ neonatale per distress respiratorio (problematica che puo’ essere presente nei neonati pretermine)- puntualizza il pediatra- vediamo che chi nasce al Mezzogiorno ha tassi di mortalita’ molto piu’ elevati rispetto a chi nasce al Nord e al Centro. Eppure, nascere in sicurezza e’ un diritto sancito con l’accordo Stato-Regioni del dicembre 2010, in cui venne programmata la razionalizzazione/riduzione dei punti nascita con un numero di parti inferiore a 1.000/anno”.

Su 400 punti nascita in Italia, 95 sono piccole strutture con meno di 500 parti l’anno dove nascono 26mila bambini. “Le donne che hanno una gravidanza a rischio, con parto pretermine e ritardo di crescita sono circa l’8-10% del totale e dovrebbero potersi ricoverare nelle strutture che possano assisterle in situazioni di emergenza. Senza contare- prosegue lo specialista- che anche una gravidanza decorsa normalmente poi puo’ complicarsi al momento del parto”. Di certo, sottolinea lo studioso, la pandemia ha fatto esplodere gli esiti della regionalizzazione del sistema sanitario, imponendo delle riflessioni soprattutto sulla migrazione sanitaria.

“Nel 2017 il Censis fa sapere che 258mila persone si sono spostate dal Mezzogiorno verso il Centro e il Nord. Le regioni di partenza erano Campania, Sicilia, Calabria e Puglia. Le regioni meridionali si trovano cosi’ costrette a rimborsare le prestazioni mediche a cui si sottopongono i propri abitanti altrove- ricorda De Curtis- e la Regione Calabria perde il 7% del suo budget sanitario proprio a causa dell’emigrazione dei cittadini: 265 milioni euro che potrebbero essere piu’ utili se investiti in strutture e professionalita'”.

IL PARTO CESAREO – Un esempio di disomogeneita’ sanitaria riguarda i parti con taglio cesareo. “Il taglio cesareo deve essere eseguito solo con condizioni mediche necessarie- aggiunge il neonatologo- perche’ una donna che partorisce con taglio cesareo ha un rischio tre volte superiore di morire, fino a 37 volte maggiore di lesioni, di 18 volte superiore di sottoporsi a laparotomia esplorativa post partum e di 42 volte superiore di rottura dell’utero successiva alla gravidanza (dati del ministero della Salute)”. Allargando la visuale all’Europa, nel Vecchio Continente “un bimbo su 4 nasce da taglio cesareo, ma nel Nord Europa la percentuale scende del 20%”.

In Italia questa pratica riguarda un bambino su 3, tuttavia esaminando la situazione da vicino De Curtis segnala che “nel Nord Italia i tassi sono simili a quelli del Nord Europa, mentre al Sud abbiamo valori molto piu’ alti: in Campania un bambino su due nasce da taglio cesareo, senza contare che in questo modo aumentano i problemi di ordine respiratorio e diminuisce la frequenza di allattamento al seno che gioca un ruolo fondamentale nell’alimentazione del neonato nel primo anno vita: e’ sicuro e non costa nulla. In piu’ favorisce lo sviluppo neurocomportamentale e il rapporto madre-bambino”.

DENATALITÀ E MADRI STRANIERE – La popolazione italiana conta 60 milioni di persone e la natalita’ ha ormai un andamento decrescente: all’inizio del ‘900 nascevano piu’ di un milione di bambini l’anno, nel 2019 sono nati 420mila bambini, segnando un -160mila rispetto al 2008 e meno della meta’ rispetto a quelli che nascevano negli anni ’60. “La diminuzione e’ dovuta a un calo di natalita’ nelle donne italiane- evidenzia il professore- che e’ stato in parte compensato dalla nascita di bambini da genitori stranieri, il 15% dei nuovi nati”.

Tornando sulla mortalita’ infantile, pero’, l’incidenza e’ “maggiore proprio nei figli dei genitori stranieri, che hanno il rischio del 66% in piu’ di morire nel primo anno vita. Se gli stranieri avessero avuto lo stesso tasso di mortalita’ degli italiani si sarebbero salvati 112 bambini”.

NATIMORTALITÀ DI BAMBINI STRANIERI – Nel Lazio dal 2010 al 2018 sono nati 40mila bambini e nonostante le donne provenienti da paesi a forte pressione migratoria erano piu’ giovani di 3 anni rispetto alle italiane, i tassi di prematurita’ sono stati piu’ elevati. “Molti dei loro bambini avevano la macrosomia (peso maggiore di 4 kg alla nascita) con un rischio accresciuto di parto distocico, asfissia perinatale, distress respiratorio e complicanze metaboliche.

L’asfissia grave alla nascita determina complicanze neurologiche e sullo sviluppo comportamentale, creando un danno al bambino, alla famiglia e all’intera societa’. Spesso le donne immigrate, a causa del loro svantaggio socioculturale ed economico, hanno un’alimentazione incongrua, vivono in condizioni igieniche scadenti e hanno cure ostetriche pediatriche tardive. Ad aggravare la situazione sono le poche conoscenze dei servizi e la paura delle autorita’ locali”.

CURE PALLIATIVE – L’ultimo passaggio dell’intervento del pediatra e’ sulle cure palliative. “In Italia esistono 35mila bambini inguaribili, ma solo il 15% di questi accede alle cure palliative che per loro rappresentano l’unica risposta possibile. Anche in questo caso il Mezzogiorno paga il prezzo maggiore. Esistono solo 6 hospice pediatrici nel Paese e occorre creare una rete periferica per l’assistenza”. 

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