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L’APPROFONDIMENTO. “Esercito di kamikaze in Italia”, 15 fermi. L’ombra del terrorismo anche a Caltanissetta

Redazione

L’APPROFONDIMENTO. “Esercito di kamikaze in Italia”, 15 fermi. L’ombra del terrorismo anche a Caltanissetta

Mer, 09/01/2019 - 10:24

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Attuale e concreta minaccia alla sicurezza nazionale”. Non ha dubbi la procura di Palermo che ha coordinato l’operazione antiterrorismo culminata nella notte da 15 fermi. Era l’estate del 2016 quando un detenuto nel carcere di Sanremo, un ‘pentito della jihad’, estradato poi in Francia, chiede di parlare con le autorita’ italiane, per evitare “un esercito di kamikaze in Italia”. Da allora le indagini non si sono mai fermate, fotografando un’organizzazione criminale finalizzata al traffico di esseri umani che, nel medesimo contesto, aiutava ad espatriare soggetti ricercati in Tunisia anche per reati legati al terrorismo.

SEIMILA DINARI PER LA ROTTA TUNISIA-TRAPANI L’operazione “Abiad” e’ scattata tra il capoluogo siciliano, Trapani, Caltanissetta e Brescia. Terrorismo e associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: sono alcuni dei reati contestati, oltre al contrabbando di sigarette, esercizio abusivo di attivita’ di intermediazione finanziaria, reati questi aggravati dall’averli commessi avvalendosi del contributo di un gruppo organizzato impegnato in attivita’ criminali in piu’ di uno Stato. Il gruppo criminale, composto prevalentemente da tunisini, ma anche da alcuni palermitani, garantiva al prezzo di 6 mila dinari, circa 2500 euro, traversate di ristretti gruppi di cittadini tunisini dalle coste maghrebine a quelle trapanesi, attraverso trasporti marittimi con natanti off-shore. L’associazione, stabilmente operante in territorio italiano e tunisino attraverso una rete logistica alimentata da ingenti risorse, curava anche l’espatrio dalla Tunisia di soggetti ricercati.

“ATTUALE E CONCRETA MINACCIA” “Sussistono significativi ed univoci elementi – scrivono i magistrati palermitani – per ritenere che l’organizzazione in esame costituisca un’attuale e concreta minaccia alla sicurezza nazionale poiche’ in grado di fornire a diversi clandestini un passaggio marittimo occulto, sicuro e celere che, proprio per queste caratteristiche, risulta particolarmente appetibile anche per quei soggetti ricercati dalle forze di sicurezza tunisine, in quanto sospettati di connessioni con formazioni terroristiche di matrice confessionale”. Uno degli indagati, in particolare, risulta essere contiguo “ad ambienti terroristici a sfondo jihadista in favore di cui, attraverso la sua pagina Facebook, ha posto in essere una significativa azione di propaganda jihadista con incitamento alla violenza ed all’odio razziale. Ulteriore segno di radicalizzazione a sfondo religioso e’ l’iscrizione dell’indagato al gruppo Facebook “Quelli ai quali manca il paradiso”.

 JIHAD 2.0 E MUJAHEDDIN VIRTUALI.  Il proselitismo e la campagna della “Jihad 2.0” – portata avanti da “mujaheddin virtuali” su social network come Facebook – spiegano i pm – prevede anche la celebrazione di eventi, tragici per l’Occidente. Come, ad esempio, la foto postata il 9 giugno 2013 raffigurante un soggetto ripreso di spalle che indossa una maglietta che riporta le scritte: “Ben Laden 11 settembre!”, “richiamando in maniera esplicita l’attentato terroristico alle torri gemelle ed il suo responsabile/ideatore”. Tra i soggetti indagati alcuni avevano una immagine di copertina del profilo Facebook “estremamente significativa”, scrivono i magistrati, “trattandosi dell’emblema per eccellenza della minaccia esportata all’estero: due combattenti jihadisti ed una scritta in sovra impressione (sullo sfondo di una mappa geografica con diversi continenti) che recita: “Dice il Profeta di Allah (che Dio lo benedica): ogni Stato ha il suo turismo ed il mio turismo e’ la jihad in nome di Dio”.
In particolare un esponente di vertice dell’organizzazione che, oltre a svolgere mansioni direttive e a custodirne la “cassa comune”, gestiva sul web una intensa attivita’ d’istigazione e di apologia del terrorismo di matrice islamista, inserendosi nel network globale della propaganda e promuovendo i violenti messaggi dell’organizzazione terroristica “Daesh”. Attraverso i vari profili, erano esaltate le piu’ crudeli attivita’ terroristiche condotte in Tunisia, Iraq, Siria, Medioriente, Europa e Stati Uniti, cosi’ come erano curati i contatti con altri profili di altri utenti impegnati nelle medesime attivita’ terroristiche.

UNA ‘POTENZA ECONOMICA’ La pericolosita’ dell’organizzazione, per chi indaga, “era esponenzialmente amplificata” in ragione del fatto che i proventi custoditi nella cassa comune dell’organizzazione potevano anche essere utilizzati per fini diversi rispetto a quelli strettamente connessi alle attivita’ criminali svolte dall’associazione criminale transnazionale. Le risorse economiche erano infatti in parte occultate in proprieta’ immobiliari e in altra parte depositate in banche tunisine su conti fittiziamente intestati a soggetti residenti in Tunisia, circostanza questa che, per quanto emerso grazie alle intercettazioni, avrebbe attirato i l’attenzione del Battaglione antiterrorismo tunisino il quale starebbe svolgendo delle indagini volte ad accertare la finalita’ di sospette operazioni finanziarie che vedrebbero coinvolto uno degli attuali fermati. Dalle indagini svolte e’ altresi’ emerso che il gruppo criminale, dopo alcuni blitz e arresti subiti sia in Tunisia sia in Italia, si e’ sempre dimostrato in grado di rigenerare la propria struttura logistica.

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