L’ex sindaco di Caltanissetta e già presidente del gruppo UDC all’ARS interviene con una riflessione di grande lucidità e onestà intellettuale sul tema della raccomandazione, della responsabilità collettiva e della necessità di una riforma culturale e amministrativa in Sicilia.
«Sino al 2012 ho rivestito cariche di rappresentanza politica nell’UDC e sono stato presidente del gruppo UDC in ARS. Ruoli che non rinnego e di cui, anzi sono orgoglioso.
Per 50 anni ho svolto Politica con vari ruoli (sindaco di Caltanissetta, assessore, consigliere comunale).
Sono stato molto amico di Saverio Romano e di Totò Cuffaro, ed anche oggi ho il richiamo dell’amicizia per entrambi.
Sono turbato da quello che leggo e sento in questi giorni, ma non posso non riflettere che quello che è successo non è solo colpa della politica, o di alcuni politici.
Quanto meno è anche colpa di una certa “sicilianità” convinta che per spostare una sedia da un ufficio ad un altro, per trovare un lavoro, per ottenere una promozione, per un ricovero ospedaliero, per ottenere un certificato dal Comune, per una nomina, per un concorso, per un appalto, non basta averne diritto o il titolo, la meritocrazia non alberga in Sicilia: (e non solo), occorre sempre la “raccomandazione” politica, a qualunque livello e per qualsivoglia necessità.
E così, purtroppo “fan tutti” in politica, chi più, chi meno.
Certo il sistema di potere per venire incontro a queste “necessità” può essere industriale, ovvero artigianale, o saltuario, ma c’è, è nella mentalità, e nel costume, di molti siciliani.
Ma tutto questo non si risolve soltanto con le inchieste dei P.M., che ci vogliono sempre tenendo conto che i Magistrati debbono svolgere le proprie funzioni e non basta affermare per la politica “ho fiducia nella Giustizia”.
Ritengo che bisogna trovare un controllo amministrativo per irrorare sanzioni, pecuniarie, che se hanno la caratteristica della simultaneità e rapidità nella erogazione e nella procedura di recupero e di effettivo pagamento per chi contravviene, vuoi il richiedente la “raccomandazione”, vuoi, il funzionario pubblico o politico, toccare le tasche delle persone, serve più di ogni indagine giudiziaria (che va sempre fatta tant’è che questo mio scritto non ha lo scopo di evitare gli aspetti penali dei reati, non è un salvacondotto per la Pubblica Amministrazione o la “politica” ma, è un suggerimento per attuare una prevenzione efficace per tentare di cambiare “le cattive abitudini” dei sistema siciliano (ma anche di altre parti d’Italia) e fermo restando che milioni sono i siciliani che non ricorrono alle raccomandazioni e che non tutta la politica è disposta ad accettare la raccomandazione.
Ed allora necessita una legge (e non un protocollo destinato come sempre ad essere disatteso), anche, se non meglio, siciliana, possibile perché non coinvolge norme penali e leggi fondamentali ed imperative dallo Stato, che prescriva per i contravventori dall’una parte e dall’altra, che a seguito brevissima istruttoria, coordinata da un apposito dipartimento, e, magari, alla dipendenza di una “delega assessoriale”, accertino, anche su segnalazione, o per fatto notorio, l’uso e l’abuso della “raccomandazione”.
Comunque, che se dalla “politica”, o dalla Pubblica Amministrazione, si dà corso alla “raccomandazione”, resta dovuto l’aspetto penale per i reati commessi in alcune materie (pubblici appalti, concorsi, ecc.). È utopia? Probabile, ma perché non provarci?
Raimondo Maira.
Le parole dell’avvocato Maira rappresentano un richiamo potente alla consapevolezza collettiva e alla necessità di una svolta culturale.
Il suo appello a una legge regionale contro la “raccomandazione” non è solo una provocazione, ma una proposta concreta per restituire centralità al merito, alla trasparenza e alla legalità, valori senza i quali – ammonisce Maira – la Sicilia non potrà mai cambiare davvero.

