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Presentato il libro “Favi amari”. L’intervista all’autore

Carmelo Barba

Presentato il libro “Favi amari”. L’intervista all’autore

Mar, 22/09/2020 - 13:48

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MUSSOMELi (di Emilia Di Piazza) Presentato  lo scorso  5 settembre 2020, a Mussomeli,  all’interno del cortile antistante il chiostro Monti, oggi adibito a Biblioteca comunale, il libro Favi amari del prof. Michele Burgio. Il libro nasce come tributo al cantastorie siciliano Nonò Salamone a cui va riconosciuto il merito di preservare ed estendere la memoria storica della nostra comunità isolana. Partito da Sutera, suo paese natìo, a soli diciassette anni, in cerca di lavoro, arriva a Milano, dove tutto è uguale e diverso. Un destino comune ieri come oggi ma proprio perché tutto è diverso al Nord, Nonò alla sua Sicilia è tornato arricchendola dell’esperienza maturata nei teatri delle grandi capitali europee e non solo.

Erede di una cultura dell’oralità le cui origini si perdono nei simposi delle corti greche, il “Cantastorie” di oggi non è altro che l’aedo di ieri che, con il suo canto e le sue melodie, trasuda mito, storia, poesia, nel registro tipico di una certa tradizione folklorica.

Figura quasi surreale, un po’ aleatoria come l’etimo che lo identifica e, in qualche modo lo definisce, il cantastorie sembra incarnare l’arketipo dell’artista senza patria, il libero girovago del mondo, investito dall’unica, sola missione di narrare attraverso il canto.

E degli ultimi e della sua Terra canta Nonò Salamone, nella sua melodia struggente partorita nel regno di un’arte che non è mai celebrativa, soprattutto di se stessa, e neanche di quel dolore dipinto così tanto realmente da poterlo sentire che non è mai mera rassegnazione ma volontà di esorcizzarlo nella condivisione con l’altro.

Un “sostrato” culturale, quasi una chiosa a margine, a detta di un certo accademismo critico che non sempre riesce ad emanciparsi dai luoghi comuni e sempre poco benevolo verso ogni possibile deriva da quelli che sono i rigidi protocolli di genere. Ma come ogni dogma nasce dalla fede anche l’eresia abbisogna del suo santo e nelle corde sottese di questi artisti popolari vibra la narrazione semantica di una Terra, della sua Bellezza, delle sue latenti contraddizioni e dei suoi infedeli cantori. Sicilia, l’ossimoro potente, terra di tutti e di Nessuno, dove ognuno è uno e centomila, terra dogmatica ed eretica che, con i suoi demoni ed i suoi santi incarna l’epifania mistica di un mistero che, in ultima analisi, costituisce la sua essenza e la sua entelechia.

Nella sintassi solo apparentemente ingenua ma incisiva dei contenuti, temi (alcuni dei quali dimenticati sotto la spessa coltre della storia!) come la Fame, l’Onore, la Nostalgia, gli Affetti, si intrecciano in quella trama intricata dell’animo siciliano sempre speranzoso e fiducioso in una sorta di divina provvidenza, altrimenti definibile, che sempre aleggia sul loro vissuto.

La fame è dura e perfino irriverente perché quelle “fave” mangiate sempre… a colazione, a pranzo, a cena… devono essere pure rubate!

La miseria cantata! Video Salamone

Di Cantastorie ce n’e uno in ogni regione del mondo da sempre che ancora oggi, con la sua leggenda, non priva di interpretazioni se non contraddittorie almeno contrastanti, svolge l’importante funzione di propagare e diffondere la cosiddetta “cultura popolare”.

D’altra parte la vaghezza ben si addice a un certo ambito della narrazione orale, addirittura nell’immaginario poetico il cantore è cieco un po’ come il profeta veggente, il custode di una verità, dei segreti disegni.

E’ l’inconscio e inconsapevole portatore di un sapere altro, di un’informazione culturale altrimenti negata alla cospicua classe di analfabeti dei secoli scorsi. E proprio per la flessibilità legata alla sua natura di opera non scritta l’opera dei cantastorie è lo specchio della società in seno alla quale si sviluppa e insieme alla quale si evolve.

E per questa comunità di poveri analfabeti il cantastorie è l’oltreorizzonte, il messo portatore, non sempre, della buona novella.

Dalle piazze alle case, grazie alla facilità di memorizzazione, l’arte poetica dei cantastorie ha attraversato in modo orizzontale, l’intera società.

Se la filologia non è molto esplicativa circa la definizione del termine, dal punto di vista iconografico invece, la figura del Cantastorie sembrerebbe assumere sembianze proprie nel tardo Cinquecento cominciando a distinguersi con precisione fra i tanti artisti di piazza. Così procedendo, il Cantastorie diventerà sempre più un artista a se stante fino a divenire l’artista nostro contemporaneo. Qui, infatti, si colloca, in maniera non subalterna ma parallela a quelli che sono “i linguaggi della comunicazione contemporanea”.

Nelle agorà del III millennio il cantastorie è il collante sociale, l’antidoto alla cultura di una non meglio definita “società liquida” che ancora fluttua sotto l’incombente minaccia di un virus.

Nelle difficili piazze dell’oggi dalla quotidianità tormentata dove la mancanza di poesia recrudescente segna le tappe obbligate di un percorso votato alla solitudine, dopo che abbiamo definitivamente celebrato quella “morte di Dio” vaticinata dall’oscuro profeta poco più di un secolo fa, l’arte è ancora una volta, sempre, l’analgesico dal forte potere consolatorio.

Degna di menzione l’iniziativa editoriale “La storia siamo noi” che ha permesso a Nonò Salamone e a tutti quanti da lui ci sentiamo rappresentati, di poterne illustrare una pagina e di vivere la profonda emozione di una catarsi dell’anima.


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