– “A Gela siamo 5 mila imprenditori pronti a denunciare il racket”. E’ la risposta di Renzo Caponetti, presidente dell’associazione antiracket Gaetano Giordano di Gela, ai ‘500 leoni’ della Stidda, dichiaratisi pronti a fare la guerra per imprimere la propria supremazia nel territorio. La risposta degli imprenditori antiracket di Gela e a livello nazionale e’ stata data durante l’assemblea della Fai presieduta da Luigi Ferrucci, commerciante di Castel Volturno. Un incontro convocato dopo l’ultimo blitz antimafia “Stella cadente” condotto dalla Squadra Mobile di Caltanissetta e coordinato dalla Dda nissena. L’iniziativa e’ stata denominata “Nessuno di noi cammina da solo”. “Cinquecento leoni”, si definivano nelle intercettazioni gli stiddari, cinquecento uomini armati pronti a scatenare una nuova guerra di mafia.
Gela sono tante le denunce contro il racket, pochissime per i reati di usura. Lo ha confermato il prefetto di Caltanissetta, Cosima Di Stani, che ha affermato che “l’usura e’ un fenomeno difficile da denunciare, mentre contro il racket c’e’ una reazione”. “State diventando numerosi – ha aggiunto il prefetto rivolgendosi agli imprenditori – siete diventati una forza nella legalita’. Un vincolo forte tra voi che e’ la vostra forza. Con questa esperienza state mandando un messaggio di impegno civile alle future generazioni, un passaggio di testimone”. “A Gela c’e’ tanta gente che non denuncia, sacche di omerta’ – ha affermato Tano Grasso, presidente onorario della Fai, storico leader antiracket – ma come si denuncia a Gela non si denuncia in altre parte d’Italia”. Assenti le associazioni di categoria che “presenziano agli incontri solo quando c’e’ da firmare un protocollo, ma quando bisogna applicarlo hanno altro da fare”, e’ l’accusa di Annapaola Porzio, commissario straordinario del governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura. Il commissario ha evidenziato che “c’e’ l’impegno di tante persone e noi oggi #siamoRenzo”, il presidente dell’antiracket di Gela, Renzo Caponetti, costretto a chiudere la propria azienda dopo che alcuni esponenti della Stidda hanno imposta le proprie forniture a bar e ristoranti.

