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Crocetta e quello sfogo degno di un quaquaraquà

Redazione

Crocetta e quello sfogo degno di un quaquaraquà

Dom, 19/07/2015 - 14:46

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Crocettadi Lia Celi – Lettera 43
Quando ho saputo che a mia figlia quindicenne come lettura estiva per Italiano era stato assegnato Il giorno della civetta di Sciascia, mi sono cadute le braccia.
Non è cambiato niente da quando alle superiori ci andavo io. I prof scelgono ancora i libri per le vacanze con lo stesso spirito con cui le suore in sala travaglio rispondono alle partorienti che urlano per il dolore: hai goduto? Adesso soffri.
LA CRUDELTÀ DELLE PROF. «Ti stai godendo le vacanze, vero? Sei giovane, spensierato, sano come un pesce, con la carne soda e tanti sogni in testa, hai tutto il giorno e la notte per spassartela con gli amici e la ragazza, e magari pensi che la vita sia bella, il mondo un bel posto e il tuo Paese, dove abiti con la tua famiglia, i tuoi amici e la tua ragazza, non sia poi così male. Ora ti aggiusto io», ghigna il o più spesso la, prof.
E zac, infligge ai teneri marroncini dell’adolescente un indiscusso capolavoro della letteratura italiana del Novecento ad altissimo tasso di pessimismo, scritto in una lingua che per i continentali è più ermetica del toscano-come-seconda-lingua dei Promessi Sposi; ma se hai qualcosa da eccepire fai la figura del ciuco e/o del fascista o, nel caso dello Sciascia pre-«professionisti dell’antimafia» (la Civetta è del 1960), pure del baby-concorsista esterno in associazione mafiosa.
UNA GENERAZIONE SFIDUCIATA. Peggio: di quel libro, che susciterà nella maggior parte di loro avversione per la lettura, per il povero Sciascia e forse per la Sicilia tutta, i ragazzi dovranno scrivere riassunto e commento per settembre.
Peggio ancora: quando chiudono quel libro forte, bello, di una struggente e implacabile preveggenza, ma che ha l’effetto del napalm sull’entusiasmo di una generazione già abbastanza sfiduciata e convinta che la linea del proprio futuro si sia spostata ben oltre quella della palma (oltre le Alpi, come minimo), gli studenti si ritrovano dalla Sicilia della Civetta a quella Crocetta.
Dove, in un’intercettazione, il primario Matteo Tutino, arrestato per truffa, falso e peculato, dice al governatore della Sicilia dice che Lucia Borsellino, assessore alla Sanità, «va fatta fuori come suo padre», il giudice martire della lotta alla mafia, ucciso 24 anni fa.
QUEL GRIDO DI DOLORE INOPPORTUNO. Il governatore tace, e sarà sicuramente un silenzio impietrito per l’orribile uscita del suo ex medico personale, ma alle intercettazioni sfuggono certe nuances. Quel che non sfugge è l’inopportunità del suo grido di dolore «volevano farmi fuori», in una vicenda che coinvolge la figlia di chi è stato fatto fuori davvero, ed efferatamente, insieme agli uomini e donne della scorta.
Anche uno studente furbacchione che non ha letto il romanzo solo su Google-Bignami, inserirebbe Crocetta nelle categorie dei mezz’uomini, se non dei quaquaraquà.
Poi dalla Sicilia di Sciascia si arretra addirittura a quella di Pirandello, perché secondo la procura di Palermo l’intercettazione Tutino-Crocetta non esiste. Ma come ha appreso dal Giorno della civetta anche lo studente furbastro di cui sopra, in Sicilia le cose che esistono di più sono quelle che si dice non esistano.
AVANZA LA LINEA DEI QUAQUARAQUÀ. «Mi ci romperò la testa», dice il capitano Bellodi, tornato nella sua Parma ma colpito al cuore da una terra incomprensibile. Dubito che in mia figlia e i suoi compagni sia nata la stessa civile cocciutaggine grazie alla lettura coatta di Sciascia.
In chi ha vent’anni più di loro era sbocciata grazie al sangue e all’esempio di Livatino, Falcone e Borsellino. Allora sembrava che la linea dei giusti potesse arginare l’avanzata verso Nord della linea della palma. Dove l’ha già preceduta, da tempo, la linea dei quaquaraquà.

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