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Caltanissetta. Giovani, lavoro e Telecontact, il nisseno Fabrizio Lipani: “Dire la verità è il primo atto di tutela”

Redazione 3

Caltanissetta. Giovani, lavoro e Telecontact, il nisseno Fabrizio Lipani: “Dire la verità è il primo atto di tutela”

Gio, 13/11/2025 - 14:17

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Da Lisbona arriva a Caltanissetta una riflessione sui giovani, sul lavoro e sul futuro. Parole che richiamano anche la vicenda Telecontact e a scriverle è un cittadino nisseno, Fabrizio Lipani, oggi presente al WebSummit 2025, occasione che ha rappresentato per lui motivo della riflessione.

“Scrivo da Lisbona, dove sto partecipando al WebSummit 2025 per lavoro – inizia Fabrizio Lipani -. In questi giorni sento parlare continuamente di intelligenza artificiale, automazione dei processi, trasformazione del lavoro. E mentre ascolto queste riflessioni globali, mi arrivano le notizie dalla mia terra – Caltanissetta e San Cataldo – sulla vicenda Telecontact. Ho letto delle mozioni del Consiglio comunale di San Cataldo e della preoccupazione dell’Amministrazione di Caltanissetta per i lavoratori coinvolti. La solidarietà è sacrosanta, e va espressa senza esitazioni.”

Continua scrivendo: “Ma c’è una parte del dibattito che manca completamente: la comprensione di ciò che sta accadendo davvero. Qui al WebSummit non parlano di ‘scelte aziendali’ o ‘riorganizzazioni’: parlano del fatto che l’intelligenza artificiale sta assorbendo una parte enorme dei lavori ripetitivi. Call center, catene di montaggio, data entry, processi standardizzati: sono i primi settori investiti dall’ondata.”

Nella sua riflessione, Fabrizio pone l’attenzione sulla tecnologia e quella che “vedo presentata qui non è futuristica: è già in produzione. E questo non significa che i lavoratori siano inutili o ‘da sostituire’ – nessuno lo pensa. Significa che il mondo del lavoro è in trasformazione, e che la difesa delle persone non può basarsi sulla negazione di ciò che succede.”

A seguire, chi scrive fa anche una riflessione personale: “Vengo da una famiglia come tante nel Nisseno. Quante volte abbiamo sentito frasi come: ‘Lascia perdere il mestiere di parrucchiere, vai al Nord in fabbrica’; ‘Che ci fai a fare l’elettricista? Entra in un call center, è più sicuro’; ‘Meglio un lavoro fisso che un mestiere manuale’. Generazioni di ragazzi sono stati convinti a rinunciare a competenze manuali preziose – elettricisti, idraulici, parrucchieri, falegnami – per cercare stabilità in settori che oggi sono proprio i più fragili. E questo messaggio continua, ancora oggi, a circolare.”

“Io lo dico con sincerità, e senza spirito polemico – continua -. Se c’è un momento in cui dovremmo scendere in piazza, non è quando un giovane trova lavoro in un call center. È quando viene spinto ad abbandonare la sua competenza autentica per un lavoro che l’automazione sta già erodendo. È lì che dovremmo arrabbiarci. È lì che dovremmo far sentire la nostra voce. Non per accusare qualcuno, ma per difendere il futuro dei nostri figli. E lo dico da padre di due bambini piccoli, che ho deciso di crescere a San Cataldo.”

E ancora prosegue: “Vorrei che vivessero in un territorio che guarda al mondo, che riconosce i trend globali, che educa con coraggio, che non rimane incastrato in un’idea di ‘posto fisso’ che non esiste più. Vorrei che crescessero in un contesto che valorizza davvero le competenze – manuali, tecniche, digitali – e che offre prospettive reali, non illusioni. Per questo credo che un messaggio chiaro e onesto sia la prima forma di tutela possibile. Non possiamo permetterci di raccontare ai giovani che tutto funzionerà come prima. Non possiamo lasciarli impreparati davanti a un mondo che cambia. Non possiamo continuare a considerarli ‘salvi’ quando vengono assorbiti in settori che l’automazione sta rendendo sempre più instabili. La questione Telecontact merita rispetto e attenzione, ma è anche l’occasione per porci una domanda fondamentale: che messaggio stiamo dando alle prossime generazioni? Non è una battaglia politica. È una questione di responsabilità verso chi verrà dopo di noi. E dire la verità, oggi, è il primo atto di tutela. Non per dividere, ma per preparare. Non per criticare, ma per educare. Non per creare paure, ma per dare prospettive. Il futuro del Nisseno – conclude – dipende dalla capacità di guardare in faccia questi cambiamenti e di accompagnare le persone – adulti e giovani – a vivere nel mondo così com’è, non come era vent’anni fa.”

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