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Fatti, storia e cultura a Caltanissetta. Il Vescovo, il Provveditore e l’unità d’Italia

Redazione

Fatti, storia e cultura a Caltanissetta. Il Vescovo, il Provveditore e l’unità d’Italia

Ven, 25/01/2019 - 21:18

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di Fiorella Falci (pubblicato sul giornale cartaceo di gennaio 2019)

Correva l’anno 1863, da appena due anni era stato proclamato il Regno d’Italia ed esteso a tutto il territorio della giovane nazione lo Statuto Albertino del 1848, che all’art. 1 recitava: “La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi”.

La vecchia alleanza trono-altare, pilastro delle monarchie assolute, era stata assunta anche come fondamento della prima monarchia costituzionale italiana, ma, ad Unità realizzata, l’annessione al nuovo regno dei territori dello Stato della Chiesa aveva reso impraticabili i rapporti tra il Papato e la monarchia e impresso alla amministrazione del regno uno stile spiccatamente anticlericale, che la forte influenza massonica su molti esponenti della classe dirigente liberale potenziava progressivamente.

A Caltanissetta questa tensione sarebbe esplosa intorno alla vicenda del Liceo del Seminario Vescovile, nel mirino di uno zelante Provveditore agli Studi che voleva ispezionarlo a tutti i costi, in conflitto con il Vescovo, Mons. Giovanni Guttadauro, che sin dal suo insediamento a Caltanissetta, nel 1859, aveva istituito il Seminario, atteso fin dalla fondazione della Diocesi, affidandone provvisoriamente la cura didattica ai Gesuiti del Collegio, affiancati da due sacerdoti diocesani.

Pagina 9 del giornale cartaceo di Gennaio 2019

In pochi anni il Seminario, che offriva la formazione del ginnasio inferiore e del liceo classico oltre che dei corsi di teologia, aveva raggiunto grandi numeri per quel tempo: 120 iscritti a convitto più 50 iscritti esterni perché residenti in città, e nel 1862 un ulteriore aumento degli iscritti aveva portato il Vescovo ad affittare il palazzo Palmieri per ospitare nuove classi.

Il sistema scolastico statale a Caltanissetta si stava strutturando in quegli stessi anni di costruzione dell’unità del nuovo Stato anche negli ordini di istruzione superiore: nel 1862 era stato istituito l’Istituto Tecnico Minerario, il primo in Italia, scuola di eccellenza nella città capitale dello zolfo. Più complicata la vicenda del Liceo Classico, la più antica scuola superiore cittadina, che con l’arrivo di Garibaldi, nel 1860, aveva sostituito proprio il prestigioso Liceo Gesuitico, annesso alla chiesa di S. Agata, il cui edificio, espulsi i Gesuiti, era stato requisito dallo Stato e nel marzo di quel 1863, aveva ospitato il nuovo Liceo Ginnasio statale. Ma aveva numeri piuttosto striminziti: una sola sezione, meno di quaranta studenti in tutto.

Era Provveditore agli studi l’abate Giuseppe Vaccaro, un ex frate cappuccino di origini nissene, che nel 1840 aveva lasciato il monastero rimanendo sacerdote secolare con dispensa pontificia, e a Palermo veniva conteso dalle famiglie aristocratiche come precettore per la sua profonda preparazione culturale. Tra i suoi allievi anche il marchese Antonio Di Rudinì, futuro Presidente del Consiglio.

Vaccaro aveva seguito con entusiasmo le vicende risorgimentali, ed era stato incaricato nel nuovo regno italiano di dirigere i Regi Ginnasi di Catania e Piazza Armerina, prima di essere nominato Provveditore di Caltanissetta, per i suoi meriti “liberali” oltre che culturali.

Appena insediato a Caltanissetta aveva preso di mira il Seminario Vescovile, che con il suo Liceo Ginnasio surclassava ampiamente il Liceo statale di cui era, agli occhi del Provveditore, un temibile concorrente, specialmente perché le famiglie benestanti del territorio sembravano non gradire l’impostazione spiccatamente anticlericale di diversi suoi docenti, nonostante la presenza tra essi di alcuni sacerdoti.

Mons. Giovanni Guttadauro

Mons. Guttadauro, di fronte alle pressioni del Provveditore Vaccaro, reiterava il rifiuto dell’ispezione governativa, attivando una corrispondenza con tutti i possibili interlocutori istituzionali, anche se si sarebbe sempre distinto per una inequivocabile e intransigente autonomia rispetto a tutti i poteri politici, sia in epoca borbonica che in epoca sabauda. Sarebbe stato uno dei due Vescovi che, al Concilio Ecumenico Vaticano I, convocato da Pio IX nel 1869, avrebbe votato contro il dogma dell’infallibità del Papa.

Ma Vaccaro era riuscito ad ottenere il decreto di soppressione del Seminario nisseno, e si prendeva la soddisfazione di notificarlo personalmente, il 18 novembre 1863, accompagnato dal delegato di Pubblica Sicurezza, intimandone la chiusura immediata e la consegna delle chiavi.

Ma il Seminario non era un edificio (e in quegli anni non lo era ancora): era una comunità di formazione spirituale, e non erano stati sufficienti i sigilli alle sue porte per cancellarla dalla vita di chi vi faceva parte.

Per quattro anni, dal 1863 al 1867, la vigilanza poliziesca sollecitata dal Provveditore per pedinare docenti e studenti e scoprire se e dove continuassero le lezioni, veniva elusa da una organizzazione “clandestina” che portava i giovani allievi a sparpagliarsi per seguire le lezioni nelle sacrestie di diverse chiese nissene, o vivendo riuniti in abitazioni dedicate all’ospitalità sotto la sorveglianza dei superiori, alternative al convitto.

Finalmente, sostituito Vaccaro con un nuovo e più equilibrato Provveditore, Pietro Noto, un altro decreto ministeriale avrebbe consentito la riapertura ufficiale del Seminario e del suo Liceo.

In quello stesso 1867 un’epidemia di colera colpiva a morte centinaia di nisseni, tra i quali anche il Provveditore Vaccaro, che nei giorni della sua malattia aveva maturato il pentimento per il suo passato e aveva voluto esprimerlo in una ritrattazione ufficiale dei suoi errori, sottoscritta di suo pugno e conclusa chiedendo perdono al Vescovo per il dolore che gli aveva procurato.

Mons. Guttadauro ne accoglieva con commozione il pentimento e andava a trovarlo personalmente, abbracciandolo sul letto di morte e somministrandogli i sacramenti.

Il suo impegno personale e quello di tutta la Chiesa nissena per soccorrere le popolazioni colpite dall’epidemia gli sarebbero valse l’onorificenza di Commendatore dei SS. Maurizio e Lazzaro.

L’onestà intellettuale, la tenacia e la coerenza del Vescovo avevano avuto ragione dello zelo iconoclasta del funzionario governativo, anche di fronte alle istituzioni. L’unità d’Italia si costruiva senza crociate laiciste ma con l’impegno di formazione dei giovani e di solidarietà per le popolazioni sofferenti che, soprattutto nel Sud, il nuovo Regno stava trascurando colpevolmente. La Chiesa nissena non avrebbe mai abbandonato questa linea di impegno civile, oltre che spirituale. Prima e dopo il Concordato. Fino ai nostri giorni.

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