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3 settembre 1982: la mafia ammazza il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa

Redazione

3 settembre 1982: la mafia ammazza il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa

Lun, 03/09/2018 - 13:38

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La lotta contro il banditismo, contro il terrorismo rosso e infine contro Cosa Nostra. Che gli tolse la vita il 3 settembre 1982 con un feroce attacco in cui morirono anche la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. Sono da poco passate le 21 quando una Bmw affianca una A112 bianca. Dalla prima auto parte una raffica di Kalashnikov, che travolge i passeggeri della seconda. Così, il 3 settembre 1982, moriva il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Nell’esecuzione, compiuta per mano di Cosa Nostra, perdono la vita anche la moglie Emanuela Setti Carraro, che si trovava al posto di guida, e l’agente di scorta Domenico Russo, che seguiva la coppia a bordo di una seconda auto.

Carlo Alberto Dalla Chiesa è nato a Saluzzo, in provincia di Cuneo, il 27 settembre 1920. La sua biografia, riportata sul sito ufficiale dei Carabinieri, lo definisce “un figlio d’arte”: all’Arma, infatti, appartenevano sia il padre Romano che il fratello Romolo. Dalla Chiesa ne scalerà le gerarchie, fino a diventare, nel 1982, vice Comandante Generale. Il suo nome è legato soprattutto alla lotta contro la mafia e contro le Brigate Rosse. Sin da giovane, infatti, viene inviato in Sicilia. Dopo una breve esperienza in Campania (dove nascerà la figlia Rita), arriva il primo incarico nell’isola nel 1949, nel Comando forze repressione banditismo. Gli viene assegnata la responsabilità di una zona destina a diventare il centro nevralgico di Cosa Nostra: Corleone, dove Dalla Chiesa deve misurarsi con il potere del boss Luciano Leggio e l’ascesa di Bernardo Provenzano e Totò Riina. Dalla Chiesa si dimostra “un ufficiale abile, duro, inflessibile, gran lavoratore, non meno paziente dei suoi avversari”. Riesce così a inchiodare gli assassini del segretario della Camera del Lavoro di Corleone, Placido Rizzotto. Ma il processo si risolve con una serie di assoluzioni e Dalla Chiesa viene assegnato ad altro incarico.

Cosa Nostra e Brigate Rosse

Il primo ritorno in Sicilia arriva nel 1966. Carlo Alberto Dalla Chiesa, diventato colonnello, guida il Comando della Legione di Palermo. Un incarico che ricoprirà per oltre sette anni. È il periodo della strade di viale Lazio, della scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, degli omicidi del commissario Boris Giuliano e del procuratore Pietro Scaglione. Nel 1973 dice di nuovo arrivederci alla Sicilia per occuparsi, dopo la nomina a generale, di terrorismo e Brigate Rosse. Dalla Chiesa inaugura una nuova struttura, il Nucleo Speciale Antiterrorismo. I risultati ottenuti lo portano a diventare generale di corpo d’armata. Il governo, guidato da Giovanni Spadolini e con Virginio Rognoni come ministro dell’interno, spera che Dalla Chiesa possa ottenere gli stessi successi contro Cosa Nostra e nel maggio del 1982 lo nomina prefetto di Palermo per arginare il potere mafoso, promettendogli poteri speciali che però non sarebbero mai arrivati.

La morte a Palermo

Nonostante le perplessità, il generale accetta il suo incarico e torna in Sicilia assieme alla sua seconda moglie, Emanuela Setti Carraro, sposata il 10 luglio 1982. La prima, Dora Fabbo, madre di Rita e dei suoi fratelli Nando e Simona, era scomparsa per un infarto nel 1978. Nonostante la mancanza di poteri e mezzi richiesti, il lavoro di Dalla Chiesa inizia e Cosa Nostra, puntualmente, reagisce. Il 3 settembre del 1982, a quattro mesi dalla nomina a Prefetto, Carlo Alberto Dalla Chiesa viene ucciso assieme alla moglie e all’agente Russo. Il 5 settembre arriva una telefonata anonima al quotidiano La Sicilia: “L’operazione Carlo Alberto è conclusa”.

Sul luogo del delitto spunta, appeso a un muro e scritto a mano, un cartello che diventerà celebre: “Qui è morta la speranze dei palermitani onesti”. Per l’omicidio sono stati condannati, come mandanti, i vertici di Cosa Nostra dell’epoca: Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. Per una condanna agli esecutori materiali bisognerà aspettare il 2002, quando la Corte d’Assise ha riconosciuto la colpevolezza dei killer Raffaele Ganci, Giuseppe Lucchese, Vincenzo Galatolo e Nino Madonia (cui è stato comminato l’ergastolo) e dei collaboratori di giustizia Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci (condannati a 14 anni).

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