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Sul trono di Pietro il nome del Santo più povero

Michele Spena

Sul trono di Pietro il nome del Santo più povero

Ven, 15/03/2013 - 08:56

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CALTANISSETTA – Il silenzio in piazza San Pietro, nell’incontro con un Papa appena eletto, non si era mai sentito. E invece con Papa Francesco tutto il mondo lo ha ascoltato e lo ha “visto”: con il successore di Pietro inchinato di fronte al suo popolo, dopo averne chiesto “il favore” della preghiera di intercessione, per potere ricevere lui la benedizione dal Signore.
La Chiesa che comunica con Dio attraverso il suo popolo e non viceversa: è la rivoluzione del Concilio che si fa storia. Finalmente.
E’ tornata ad essere veramente “ecclesia”, comunità circolare, in quel minuto di silenzio di preghiera in cui il fulmine che aveva colpito la cupola di San Pietro nel giorno drammatico della rinuncia di Benedetto XVI sembra avere riconvertito la sua energia in un circuito intensissimo di comunione, di interdipendenza, con una vibrazione profonda, nel cuore di ognuno di noi.
Un magnetismo di segno opposto agli “effetti speciali” della retorica mediatica, quasi una sospensione del clamore nei gesti misurati e veri di Papa Francesco, senza la stola della solennità e con una croce di metallo sul cuore, che ha trascorso i suoi primi istanti guardando il suo popolo in silenzio, quasi negli occhi di ciascuno, prima di sorridere, un po’ distante dalla balaustra, entrando in punta di piedi nell’immaginario e nella vita della sua gente.
E poi il coraggio del nome: portare sul trono di Pietro il nome del Santo più povero, del più simile a Cristo, del più radicale nell’amore, del più lontano da ogni potere, eppure un nome a cui nessun Papa, in venti secoli, aveva pensato.
Forse non poteva essere diversamente per chi viene come lui “dalla fine del mondo” (e non solo in senso geografico), da quel Sud del pianeta in cui esplodono tutte le contraddizioni della globalizzazione, sin dai tempi delle conquiste coloniali, quando i Gesuiti come Papa Francesco in quelle terre difendevano gli Indios dalla rapacità crudele dei conquistadores europei.
Oggi la sfida della povertà paradossalmente è più vicina, dentro di noi, anche nelle vetrine luccicanti della nostra società dello spreco, dove la povertà significa anche non sapere più riconoscere l’essenziale, quello che da senso alla nostra vita.
Questa è una sfida autentica di conversione, che chiama in causa il nostro modo di esistere con gli altri: la qualità delle relazioni è la frontiera che oggi attraversa la nostra vita, passando in mezzo tra solitudine e solidarietà.
E lo sguardo mite e pensoso di Papa Francesco rispecchiava autenticità essenziale nel comunicare con il suo popolo, raccontava di questa qualità delle relazioni, senza retorica, senza ipocrisia.
Ha osservato a lungo la gente di piazza San Pietro prima di sorridere. Forse ha pensato alle folle disperate delle baraccopoli del Sud America dove ha vissuto la sua testimonianza di pastore, che da ogni possono avere una speranza in più.
Forse attraverso Francesco sarà più facile capire che il mondo è di tutti, non soltanto di chi ha ricchezza e potere. E sarà possibile se non lo lasceremo solo in questo orizzonte, ma saremo capaci di sostenerlo anche noi, con la testimonianza della nostra vita, semplice, essenziale, autentica, come le sue prime parole della sera del 13 marzo.

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