Caltanissetta è una città che custodisce un patrimonio silenzioso, a volte dimenticato, ma straordinariamente ricco. Ed è proprio da questa consapevolezza che nasce “Caltanissetta e le sue bellezze”, la nuova rubrica del Fatto Nisseno che, per tutto il mese di agosto, racconterà — giorno dopo giorno — angoli, scorci, chiese, musei, sapori e storie del nostro territorio.
Vogliamo riscoprire il bello che ci circonda, valorizzarlo e condividerlo. Lo faremo con uno sguardo curioso e rispettoso, guidati dal desiderio di far conoscere non solo ai turisti, ma anche — e soprattutto — ai nisseni, quei tesori che spesso sfuggono all’abitudine. E vi invitiamo, lettori, a condividere questi racconti: perché la bellezza, se raccontata bene, può diventare contagiosa.
Il nostro viaggio comincia da uno dei luoghi più antichi e suggestivi della città: l’Abbazia di Santo Spirito.
A pochi chilometri dal centro urbano, immersa nella quiete delle campagne nissene, si erge l’Abbazia di Santo Spirito, un’autentica perla del medioevo siciliano e uno dei monumenti più ricchi di significato per l’identità storica e spirituale di Caltanissetta.
La sua costruzione risale alla prima metà del XII secolo. Fu il conte Ruggero d’Altavilla, insieme alla moglie Adelasia del Vasto, a commissionarne l’edificazione. L’edificio fu consacrato nel 1153 e affidato nel 1178 ai canonici regolari agostiniani. Secondo lo storico nisseno Michele Santagati, però, il sito era già utilizzato come luogo di culto in epoca bizantina, come lascia intuire la rara dedicazione allo Spirito Santo — molto più frequente nelle chiese bizantine che in quelle di epoca normanna, solitamente dedicate alla Madonna, a San Pietro o agli apostoli.
Un dettaglio che racconta come questo luogo sia stato crocevia di culture e fedi. Ed è forse anche per questo che l’Abbazia di Santo Spirito fu la prima parrocchia ufficiale di Caltanissetta, come testimoniato da una lapide collocata sul pilastro sinistro dell’abside maggiore.
Simbolismo e rigore: l’architettura esterna
All’esterno, l’edificio presenta una navata unica triabsidata, con una proporzione longitudinale pari a tre volte la larghezza trasversale. Il numero tre, che ritorna anche nelle tre finestrelle absidali disposte con assi convergenti verso un unico punto centrale, richiama il mistero dell’unità trinitaria. Lo stesso simbolismo si ritrova sopra l’area presbiteriale, dove altre tre finestrelle, attraversate dalla luce solare, amplificano l’intensità spirituale del luogo.

Le absidi, con coperture coniche e paraste di sostegno, così come il portale laterale, richiamano lo stile della prima architettura normanna d’Oltralpe. Il rigore e la sobrietà della pietra locale parlano un linguaggio austero ma potente, che resiste al tempo. Poco distante dall’abbazia si trova il Museo Archeologico Regionale di Caltanissetta, a completare un itinerario culturale che meriterebbe ben maggiore attenzione.
L’interno: un museo d’arte sacra incastonato nella storia
All’interno, l’Abbazia custodisce tesori di straordinario valore artistico e devozionale. Spicca il fonte battesimale di epoca normanna, testimone della fede che da secoli attraversa queste mura. La cantoria, costruita nel 1877, reca gli stemmi del vescovo monsignor Giovanni Guttadauro e dell’abate dell’epoca.

Tra le opere più significative si trovano affreschi del XV secolo: i frammenti di un Sant’Agostino, la Messa di San Gregorio — scena in cui Cristo emerge dal sarcofago durante la celebrazione eucaristica — e un Cristo benedicente, che affonda le sue radici nella pittura tardo-medievale. Il Pantocratore, ridipinto nel 1964 dal pittore catanese Archimede Cirinnà, è un ulteriore esempio della continua rilettura e conservazione di questo patrimonio sacro.

Una menzione speciale merita la statua della Madonna delle Grazie, del XVI secolo: in terracotta policroma, è considerata la più antica raffigurazione mariana presente a Caltanissetta. Di altissimo pregio anche il Crocifisso dello Staglio, realizzato con tempera grassa su tavola, unanimemente riconosciuto come l’opera più preziosa dell’intero complesso.

L’altare maggiore, insieme alla protesis e al diaconicon, è ricavato da massicci blocchi di pietra di Sabucina, materia che racconta il territorio con la sua sola presenza. Infine, all’interno dell’abbazia è custodita anche una urna cineraria romana, risalente al I secolo dopo Cristo: apparteneva a Diadumeno, liberto dell’imperatore Tito, e rappresenta un’ulteriore traccia della lunga stratificazione storica che attraversa questo luogo.
Nel corso dei secoli, l’Abbazia ha subito numerosi interventi di restauro: il primo, documentato, è del 1568, a opera di Fabrizio Moncada. Successivamente, nel 1759, la contessa Ruffo Moncada ne affidò la gestione ai padri cappuccini, che rimasero nella struttura fino al 1904. Altri restauri furono condotti tra fine Ottocento e i decenni più recenti.
Un’identità da riscoprire
Oggi, l’Abbazia di Santo Spirito rimane un simbolo vivo dell’identità nissena, un luogo che merita di essere visitato, studiato, amato. È da qui che abbiamo scelto di partire, perché spesso il punto più profondo da cui ripartire è proprio quello che si ha davanti agli occhi.
Domani, una nuova tappa ci condurrà altrove. Ma l’eco silenziosa di queste pietre accompagnerà ancora a lungo il nostro racconto.

