CALTANISSETTA – Pochi secondi. Tanto è bastato perché l’antenna RAI di Caltanissetta, alta e imponente compagna dello skyline cittadino per oltre cinquant’anni, crollasse al suolo. Ma intorno a quel momento, il tempo sembrava sospeso. Perché quel crollo non è stato solo il frutto di una manovra ingegneristica: è stato il compimento di una storia lunga, condivisa, vissuta da una città intera e da chi, dentro la RAI, quell’antenna l’ha curata come una cosa propria.
Alle 17:40 in punto, sotto un sole implacabile e gli occhi di centinaia di spettatori sparsi in tutta la città, la demolizione del traliccio RAI è avvenuta. È bastata una manciata di secondi, un tonfo secco, un leggero boato attutito dal terreno e subito dopo la nuvola di polvere che ha segnato l’impatto al suolo.
Tutto si è svolto in maniera impeccabile dal punto di vista tecnico, con una precisione che ha lasciato spazio a un misto di emozione e incredulità. In molti si aspettavano un’operazione lunga, magari più spettacolare, ma la realtà è stata diversa: l’antenna è venuta giù con un’efficienza quasi chirurgica, senza clamore, lasciando a molti un senso di sorpresa, forse persino di delusione per la rapidità dell’evento.
Sin dal mattino, via Antenna è stata un viavai di curiosi. In tanti cercavano di carpire l’orario esatto della demolizione, di capire se ci fosse qualche possibilità di assistere all’evento da vicino. Poi, dalle 14.30 in poi, lo scenario si è allargato: piccoli gruppi appostati in vari punti della città – dalla strada che porta al Redentore, via San Giuliano, fino a via Paladini – con il telefono puntato verso l’orizzonte, pronti a immortalare l’istante in cui la torre sarebbe venuta giù.
Presente fin dalle prime ore del giorno anche la polizia municipale e la Digos , che ha presidiato la zona per prevenire eventuali criticità legate alla presenza di curiosi o possibili manifestazioni di dissenso. Tutto, però, si è svolto con serenità. A dominare è stato il silenzio. Quello stesso silenzio che ha accompagnato le ultime ore dell’antenna, quasi un rispetto collettivo per ciò che stava per accadere.
Questa mattina, anche Il Fatto Nisseno, come tanti cittadini mossi dalla curiosità e dal senso di appartenenza, si è recato in via Antenna, proprio davanti al cancello che conduce all’area dove sorge l’ormai storico traliccio Rai. L’atmosfera era silenziosa, quasi sospesa, come quella dei grandi addii. Un luogo che per decenni ha custodito non solo tecnologia e comunicazioni, ma anche simboli e memorie collettive.
Spinti dal desiderio di comprendere più da vicino il senso di questa giornata, abbiamo chiesto un colloquio con i rappresentanti di Rai Way, l’azienda responsabile della struttura. Dopo una breve attesa e un dialogo improntato alla massima correttezza, ci è stato aperto il cancello. Abbiamo avuto modo di parlare con uno dei dirigenti Rai, che ringraziamo pubblicamente per la disponibilità, la gentilezza e l’eleganza di stile con cui ha accolto la nostra richiesta.
L’incontro è stato tutto fuorché formale. Non c’erano toni polemici, solo il desiderio di ascoltare e raccogliere il lato umano di una vicenda che, al di là delle valutazioni tecniche, rappresenta per molti una pagina significativa della storia cittadina. Ed è proprio questo aspetto umano che ci ha colpito: il dirigente Rai – un vero uomo d’azienda – non ha nascosto la propria emozione. Con grande sobrietà, ci ha offerto un excursus sulle tappe che hanno portato alla giornata odierna, restituendo a questa demolizione il senso profondo di un passaggio epocale.
Per Rai Way, infatti, quell’antenna non era solo un impianto di trasmissione. Era un pezzo di storia industriale, un simbolo del progresso tecnologico del dopoguerra, un elemento identitario che aveva accompagnato per anni la crescita del servizio pubblico.
Anche per la Rai, dunque, quella di oggi non è una giornata qualunque. E nelle parole del dirigente si è percepito il dispiacere sincero di chi sa di dover dire addio a un capitolo importante. Un addio inevitabile, forse, ma non per questo meno sentito.
Noi del Fatto Nisseno, testimoni diretti di questo momento, abbiamo voluto raccontarlo così: con rispetto, con gratitudine e con il dovere – che sentiamo nostro – di restituire alle persone non solo la cronaca dei fatti, ma anche il loro valore umano e simbolico.
All’interno dell’area RAI, il clima era di evidente emozione. Dopo una prima fase di studio e riservatezza, è stato possibile instaurare un dialogo aperto e umano con i responsabili di Rai Way. Il colloquio con Pietro Grignani, dirigente dell’azienda, si è rivelato amichevole, cordiale, di grande spessore. È emerso l’uomo azienda, elegante e diplomatico, capace di andare oltre l’aspetto tecnico-burocratico per restituire il valore simbolico e affettivo dell’antenna. Con parole misurate ma sentite, Grignani ha raccontato quanto per Rai Way quella struttura rappresentasse un frammento della propria storia, un simbolo di quella Rai che, nel dopoguerra, contribuì alla rinascita del Paese anche attraverso la tecnologia. La torre di Caltanissetta, ha sottolineato, era motivo di orgoglio non solo per l’Italia, ma per l’intera Europa. E bastava guardarlo negli occhi – sinceri, visibilmente emozionati – per capire che in quel momento non parlava solo un tecnico, ma un uomo testimone di un passaggio storico.
Accanto a lui, Luigi Di Chiara – in RAI dal 1982 – ha vissuto oggi il suo ultimo atto da uomo di azienda prima del pensionamento, previsto per il 2 agosto. Nessuno conosce quella struttura quanto lui: per oltre quarant’anni ne è stato custode, referente, memoria vivente. Vederla crollare è stato come accompagnare alla fine una compagna di vita.
A guidare la delicata operazione è stata l’azienda bergamasca ITG2, tra le più quotate in Europa per questo tipo di interventi. Ma la storia si fa ancora più incredibile quando scopriamo che a costruire, originariamente, quell’antenna, fu proprio il nonno dell’attuale titolare. Una stessa famiglia ha dunque custodito l’inizio e la fine di questo simbolo: un’opera figlia dell’Italia che cresceva, si strutturava, si affermava anche attraverso l’architettura delle comunicazioni.
Ecco allora che quel gesto apparentemente tecnico – la demolizione di una struttura ormai fuori uso – si carica di significati profondi. È il passaggio del testimone tra generazioni, tra epoche. Un’emozione che attraversa chiunque: dal cittadino comune che si accorge di una skyline mutata, all’uomo Rai che vede cadere un pezzo del proprio orgoglio.
Durante queste ore di attesa, amplificate anche dalla diretta Facebook del Fatto Nisseni che ha registrato migliaia di collegamenti, in diversi punti della città si sono formati piccoli gruppi di cittadini, determinati a non perdersi un momento storico. Alcuni sono andati a caccia della migliore visuale, altri si sono appostati già dal primo pomeriggio – nonostante il caldo torrido che ha sfiorato i 40 gradi – in punti strategici come via Paladini, via San Giuliano, la zona del Rondò. Tutti con il telefono in mano, con l’intento di immortalare l’attimo in cui l’antenna avrebbe ceduto. Un gesto simbolico, collettivo, per portare con sé – nella memoria digitale dei dispositivi – la memoria emotiva di un giorno che, nel bene o nel male, resterà inciso nella storia cittadina.
Caltanissetta andrà avanti senza l’antenna. La RAI continuerà la sua missione nel cuore del Paese. Ma chi ha assistito a questo momento – fisicamente o con il cuore – sa che oggi è caduto molto più di un traliccio. È caduto un simbolo. Ma non cadrà mai il ricordo.

