Quando una guerra non conosce eroi ma solo vittime dimenticate, in questa generazione distratta.
Una guerra che non conosceva confini geografici, ma univa tutto il popolo, pronto a combattere per rendere onore alla patria.
Storie di una guerra che non distingueva nessuno, che causava vittime da nord a sud, da est a ovest, con un dramma in comune da raccontare.Vittime sotto lo stesso cielo di una tranquilla notte stellata.
Durante la notte tra l’8 e il 9 Settembre del ’43 un valoroso giovane bersagliere Giacomo Lisacchi era in servizio di ronda di perlustrazione fuori dal Comando di presidio della Caserma Battaglione Alpini Edolo, in contrada Sant’Ilario a Rovereto in provincia di Trento, quando venne sorpreso da uno spietato nucleo armato di soldati tedeschi, che in seguito alle intimazioni di resa e di consegna delle armi, reagiva e combattendo invano cadde sotto i colpi del nemico trovando l’eroica morte.
Il valoroso giovane Bersagliere del VIII° Reggimento ciclisti partì da Villapriolo, un piccolo paesino dell’entroterra siciliano nella provincia di Enna, capoluogo di provincia più alto d’Italia. Fu chiamato giovanissimo, a soli 25 anni, a prestare servizio per difendere la patria, lasciando i suoi cari e non sapendo ancora a quale destino andava incontro e alla tragica e prematura morte. Nel suo caro paesino visse la sua gioventù con la moglie Angelina, i genitori, la sorella Teresa e i fratelli Pietro e Francesco. Anche loro provati gravemente dalla guerra, Pietro divenne cieco mentre Francesco fu ferito gravemente in una gamba. Le sue spoglie per volere della famiglia, rientrarono da Rovereto nel piccolo cimitero di Villapriolo solo nel 1962, dove riposano tutt’oggi. Per molti anni il giovane eroe non venne ricordato giustamente per il suo eroico gesto.
Dopo molti anni, è stato meritatamente premiato con la medaglia d’argento alla memoria.
Ma spesso questi atti eroici vengono dimenticati e ricordati solo nelle ricorrenze del 25 Aprile.
Un’altro pezzo di storia del nostro paese che deve rimanere vivo, nel rispetto e nel coraggio dei nostri eroi caduti per la patria. Molti ringraziano ancora la buona gente di Rovereto e del Trentino che aiutò i militari in quel periodo. Su ciò che avvenne in quella drammatica notte, rimangono delle tangibili testimonianze. Come quella di Nino Agenore Bertagna, veneto, anche lui chiamato al fronte giovanissimo a soli 19 anni.
In quella tragica notte del ’43, assieme a tutti i soldati di stanza a Rovereto, Nino Agenore, venne fatto prigioniero e deportato prima in Polonia e poi nella zona Ovest della Germania vicino a Dortmund nello “Stalaglager VI° F” con sede a Bocholt. Nei primi giorni di Marzo del 1945, un bombardamento distrusse il lager e cominciò il suo cammino verso la libertà.
Attraverso le pagine del suo libro “LA BOLGIA DEI VIVI” nel capitolo “L’8 settembre del ’43.NOTTE D’INFERNO”,
ripercorriamo gli episodi significativi di quella tragica notte.
“Nell’invernata 1942-43 il 9° Reggimento Bersaglieri, classe 1923, passò al 120° Reggimento di Marcia, mobilitato per l’Africa, a Riva del Garda. Già dallo sbarco in Sicilia degli Eserciti Alleati sentivo che qualcosa di importante doveva presto accadere. In Luglio il Reggimento si spostò a Rovereto, nella ubertosa Val d’Adige, dove fu incorporato all’8° Reggimento Bersaglieri Ciclisti, colà dislocato”
“Uno fra i momenti che mi hanno fatto fremere di paura fu la notte che doveva essere quella della fine delle ostilità in Italia. Notte di terrore, in quanto non avevo ancora conosciuto la tragedia della lotta e del sangue. Ero, in quella notte, in servizio di Ronda al Comando di Presidio di Rovereto con pochi altri compagni e il mio secondo turno andava alla mezzanotte. Uno cadde intorno al Comando di Presidio ove noi eravamo. L’ordine di fuoco fu così dato e in breve tempo un carosello infernale di fuoco e detonazioni investì il centro di Rovereto. A S. Ilario da un Panzer scesero tre uomini per chiedere la resa alla nostra ronda che vigilava nei dintorni. Diversamente accadde uno scambio di raffiche da entrambe le parti, che lasciarono stesi a terra privi di vita, un tedesco subito, due dei nostri poi…”
“Il giorno 16 settembre, dopo le partenze dei giorni precedenti, i rimanenti, fummo tutti radunati e avvertiti della partenza. Insbruck, a quanto sapevamo non era poi tanto lontana.Incolonnati, percorremmo il viale Rosmini, giungendo alla stazione tra due fitte ali di popolo, che commosso ci salutava, pronunciando parole di incoraggiamento al nostro indirizzo. Qualche mamma nascondendo il viso tra un fazzoletto per trattenere le lacrime che le sgorgavano dal cuore, si volgeva di lato. Alla stazione prendemmo posto su di un convoglio per bestiame. Quaranta per vagone.”
Un racconto che accomuna il giovane bersagliere siciliano a tanti altri “ragazzi soldato” che in quei anni non fecero più ritorno nella loro vita quotidiana. Una delle tante storie che non possiamo e non dobbiamo dimenticare.