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“In quella nostra terra di Brahamè” (di Salvatore Vaccaro)

Redazione

“In quella nostra terra di Brahamè” (di Salvatore Vaccaro)

Dom, 05/03/2023 - 07:45

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Tanti anni fa, mi capitò di nominare quel “Brahamé” da un anziano in quella sua campagna. Allora, cercò di ripeterlo di nuovo, ma non ci riuscii, nemmeno una volta. E non si sente più da qualcuno altro, tranne di sentirlo come da un arabo, in particolare da quelli di Tunisia. Un nome di “Brahim” esiste, ancora oggi, o di “Abrahame” come dicono in Portogallo, tra quelli dei musulmani, da Marocco ad Egitto. E significa che, in italiano Abramo, vuol dire quel “padre della moltitudine e di molti popoli”. In questo suolo, quasi al centro di quei feudi, che erano di 248 salme (di circa 8 milioni di metri quadri), anche nella grande della “Rocca Bragamé”, alta di 464 metri, furono famosi da quegli arabi e berberi in cui iniziarono, crebbero e vissero nei loro grandi terreni, oltre al grano, agli alberi dell’ulivo, delle mandorle e del pistacchio, o meglio quello in siciliano della nostra “fastuca”, nonché di tanti altri nomi di origine arabo. Undici secoli fa, come vi fu un piccolo paesino di quell’Emiro del nostro “Menzil-al-Amir”, cioè lo stesso nome che divenne negli ultimi duecento anni, quello di Mussomeli e come quello uguale di Misilmeri (che nominarono lo stesso uguale come musumelese), e dei ricchi arabi/berberi nella zona di “Bragamé” e, in particolare, dei bizantini, quelli rimasti vicini nelle loro terre. In quel “borgo”, e nelle grandi estensioni, vi furono, dappertutto, le piccole moschee e delle chiesette cristiane, come quello al sud dei “Cangiuli”, al nord di “Cermanu” e di tanti altri. Come vi furono delle grotte e dentro delle rocce, con le loro tombe, prima dei sicani di tre/quattro mila a.C., dove si vedono ancora, oggi, dei megaliti oltre ai loro solstizi; dei greci 1000/400 a.C. e dei romani con i loro dèi, nonché i bizantini che pregavano il loro Cristo, dal 500 d.C.; poi, vennero, nel medioevo, sia per Allah e, oltre, sempre quelli dei nostri cristiani, amati del nostro Padre. Pensarci, sembra proprio difficile, ma si sono rispettati reciproci e rimasti per tre secoli e fu qualcosa di eccezionale. Come quella in basso del castello arabo-normanno di Mussomeli, oltre alle loro monete d’oro, c’è, pure, una piccola di Sutera, in cui si vede un pezzo della moschea dentro la Chiesa Madrice. Come vissero, e vedono, ancora oggi, il Cattedrale di Monreale, il Cattedrale di Cefalù, la Cappella Palatina e di altre zone di Palermo, tra la Cuba, il giardino della Zisa, ecc., osservandosi, soprattutto, i mosaici, quegli stupendi e meravigliosi, costruiti dai bizantini, dai latini, dai siciliani, dai greci e dagli arabi nel periodo del Re dei Normanni, in particolare, da Ruggero II e Guglielmo II. Poi, fine al 1239, Federico II di Svevia fece deportare, dalla Valle di Mazara, quasi tutti i musulmani islamici a Lucera di Puglia, e, probabilmente, perché diventarono tutti loro ribelli siciliani. Con la fine di Federico II, poi con il figlio re Manfredi, anche se lo aiutarono gli stessi “saraceni”, fu sconfitto e ucciso, nel 1266, da Carlo I d’Angiò di Francia e divenne il re di Sicilia. Portarono via, dopo trecento anni, nel nord di Puglia, quei centinaia di arabi/berberi anche dal nostro “Bragamé”, oltre a quella di “Menzil-al-Amir”, o vi restarono molti di quei secoli in quella loro dolce terra del “padre di molti popoli”? Chissà. Non abbiamo nessuna certezza. Ma molti nomi, anche antichi, di ieri o di oggi, sono tantissimi arabi. Dai nomi odierni siciliani nelle loro terre o di “burgiu, crivu, giarra, gibbiu, ecc.”, e dai cognomi di “Guarini, Ingrao, Mulè, Rizzo, Saia, Schifano, Taibi, ecc.”. Tanti resistono, anche, se sono già diminuiti, in quelle campagne dalla “fastuca”. E molti anziani dicono che, sul “Bragamé”, sono sempre i migliori sia dal frumento e, soprattutto, sull’olio degli olivi. Così dicono! Sarebbe interessante, pure, un elenco di tanti uomini saggi che hanno lavorato in quella campagna, giù, in basso, e meno freddo d’inverno sui terreni, di circa duecento o trecento metri di altezza. Vi furono tanti nomi di personaggi, in particolare nel 1891, quando fu il marchese Michele Spadafora, da quel suo ex feudo, con i loro grani, le pecore, le sue case e , collegate con l’ex feudo Gorgo di Sale o con la Edera. E, forse, il nome di Edera fu, invece, Idara o Idra, in quella mitologia greca con quel serpente di sette teste, ucciso da Ercole? Non lo sapremo mai.Anche, lì, ci sono le grandi rocce di megaliti e quelle grotte lontanissime sicane. Mentre più vicine di mille anni fa, nelle colline e nelle loro tombe medievali, molti non conoscono più cosa siano quelle “berbere” di quel tempo lontano, ma, pensano, almeno, quei nostri antichissimi cristiani, oltre, a quelli di oggi, in cui, dopo tanti secoli, sanno adesso di essere al 99% dei cattolici. (Prof. Salvatore Vaccaro)

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