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“C’ eravamo in quel pizzo di “TRE FONTANE” (di Salvatore Vaccaro)

Redazione

“C’ eravamo in quel pizzo di “TRE FONTANE” (di Salvatore Vaccaro)

Mer, 29/03/2023 - 18:11

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Ho girato in queste nostre colline, dal sud al nord o dall’est all’ovest, ma capisco che ci sono sempre quelle nuove da guardare e che sembrano molto lontane, ma che stanno, lì, vicine dentro al nostro territorio. Sono andato, un paio di volte di alcuni anni fa, in quella piccola montagna del Pizzo di “Tre Fontane”, proprio in direzione est di Polizzello, e come se non finissero mai di conoscerlo. Con altri amici, vi sono salito su quelle rocce con delle antichissime grotte. In alto, su una spianata soprastante su quella cima, o meglio un pianoro rettangolare, ci fu un borgo di un centinaio di sicani e, almeno, di quattro mila anni fa. Qualcuno pensa che si tratta solo di indigeni anziché di sicani? Non lo possiamo sapere con certezza, ma sono convinto, comunque, che dai “megaliti” di quei popoli nella età della pietra, cioè dei nostri preistorici indigeni che esistevano da oltre diecimila, o forse di venti mila (?) anni fa, in cui sono eretti tutti quei grandi blocchi di pietre, e, dappertutto, su tutte quelle alture del nostro paese.   Ci siamo camminati su quella montagna di oltre 775 metri di altezza. Le rocce, particolari, e diverse volte, sono tipo come quasi di statue stranissime. Si capisce che quei “megalitici” indigeni sono lontanissimi, ma restano sempre come, qui, molti vicini dall’alto.  Si vede, poi, di quel “pizzo” e si osserva, sicuramente, una grande necropoli rupestre, nel periodo dell’età del Bronzo Antico, e, poi, del Ferro. Da quel momento parliamo loro dei nostri “sicani”, che, come si pensa, siano venuti più di cinque mila anni fa, dalla Spagna. Ci sono, solo, dei frammenti di ceramiche, e quasi un pezzettino di un “vaso” indefinibile. Non mancano dei cocci o dei fossili, oppure di alcune argille basali con alternanze gessose e sabbiose. Si vedono, anche, tante grotte come sulle pareti, di cui sono circa dieci tombe, come di una camera di “arcosolio” e le altre a forno “grotticelle artificiali”, con “tholos” in ispirazione micenea. A proposito di una tomba sepoltura c’è quella più larga di un metro 1,70, di una profondità di oltre un metro 1,10 e di altezza a 0,95 metri. Accanto a quelle grotte, vi sono anche dei muri costruiti a secco di alcune con delle pietre di notevoli dimensioni e di forma quasi regolare, nonché a quelle più piccole ridotte. Nella zona accidentata vi è, pure, un pezzo di capannicolo, e non sono molto facili da vederle.   Negli insediamenti umani di quelle antiche civiltà, prima ci furono, sicuramente, gli indigeni preistorici, e, dopo, vi arrivarono, probabilmente, i “sicani”. Infine, i micenei verso il 1000 a.C. E, poi, i greci, i romani, i bizantini, gli arabi ed i Normanni, fino al 1200 d.C.? Chissà. Non abbiamo elementi di certezza. Fosse, anche lì, un villaggio di Onface, fine al 500/400 a.C., come quello che c’era a Polizzello? Per non dimenticare quello di Camico, lontanissimo del re Cocalo, con il suo “archeologo” Dedalo nel borgo di Polizzello insieme alle “Tre Fontane”, anziché di Sant’Angelo Muxaro?  Non lo sapremo mai. Come non potremo conoscere nella maggior parte di tantissimi piccoli monti delle trenta contrade del nostro mussomelese. Qui, intanto, c’è solo un nome delle “Tre Fontane”, da cui in basso, inizia nella sua campagna il nome di un “Burruganu” (in arabo che sarebbe “Abu Rugan”) e si finisce, giù, su quello della “Montagnola”, che, invece, fa pensare a delle tracce di alcune “grotte cristiane” dal 500 d.C.      C’è, ancora, un po’ su quel “pizzo” di una fontana d’acqua, anche se meno di tanti anni fa. Quella sorgiva nelle “tre vasche” antiche, con una quarta vasca quadrangolare da circa cinquant’anni, era stata sempre molto limpida e trasparente. Tanti anni fa, allora, molti contadini vi portavano da bere sull’abbeveratoio dei muli, asini, cavalli, e dalle pecore e dalle mucche. Adesso vi sono solo rarissimi, per non dire che non esistono più. E, in quel tempo lontano, c’erano dei boschi con tanti lecci, querce e castagni. Ora, su quella rupe, c’è solo una macchia di ombrelli di foglie ferule, dell’ampelodesmo con piante graminacee, nonché un finocchio selvatico, l’origano e, anche, un pezzo di acanto con dei fiori stupendi in cui alcuni lo considerano un simbolo del Cristo Risorto. Da lassù, dominano le nostre valli circostanti sia nelle verdi foglie del frumento o, in parte, come ora succede spesso, di questo grano selvatico di “spicalora”, per non dire “u frummientu sarbaggiu” ( Salvatore Vaccaro)  (Alcune foto di Angelo Prezioso e quelle in bianco nero di C. Amenta)

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