Sono trascorsi 30 anni da quando, domenica 19 luglio 1992, in via Mariano D’Amelio a Palermo, la mafia fece esplodere una Fiat 126 imbottita di tritolo uccidendo il procuratore aggiunto, Paolo Borsellino e gli agenti della scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina e ferì gravemente l’agente Antonio Vullo.
Le manifestazioni in ricordo della strage di via d’Amelio, saranno all’insegna del silenzio.
“Silenzio alle passerelle. Silenzio alla politica. Perchè invece di fare tesoro di ciò che in questi trent’anni è successo, ci accorgiamo che la lotta alla mafia non fa più parte di nessun programma politico” dice al Giornale di Sicilia, Salvatore Borsellino, fratello del magistrato. Sulle manifestazioni pesa la recente sentenza del tribunale di Caltanissetta che ha dichiarato la prescrizione del reato di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra per due poliziotti e ne ha assolto un terzo a conclusione del dibattimento sul cosiddetto depistaggio delle indagini con l’uso del falso pentito Vincenzo Scarantino.
Commentando la recente sentenza del processo di primo grado a carico di tre poliziotti, che il 12 luglio ha stabilito l’assoluzione per uno di loro e la prescrizione per gli altri due, Salvatore Borsellino aggiunge: “Sono stati celebrati processi ma ancora attendiamo di conoscere tutti i nomi di coloro che hanno voluto le stragi del ’92 e ’93” dice ancora Salvatore Borsellino.
“Mi e’ venuto in mente la prima volta che sono stato a Caltanissetta per il processo. Stavo cercando il palazzo di giustizia e non lo trovavo. Chiesi delle informazioni a delle persone che stavano in una bar e mi risposero in dialetto: ‘Il palazzo e’ la’ dietro, la giustizia non sappiamo dov’e”. Purtroppo da Caltanissetta non mi aspetto verita’ e non mi aspetto giustizia”. Una “sentenza beffa” e una giustizia “che delude”, che “tradisce la richieste di giustizia dei parenti delle vittime di mafia e di tutti i cittadini onesti ma da Caltanissetta non mi aspetto altro. Se mi aspetto e’ dai processi che si svolgono a Reggio Calabria, a Firenze”. Quando si tratta di rappresentanti dello Stato, “in questo Paese non e’ possibile avere giustizia o che lo Stato processi se stesso. O si viene assolti perche’ il fatto non costituisce reato, o subentra la prescrizione. Quindi ancora una volta ne’ verita’ ne’ giustizia.
Il Tribunale “non ha accolto la nostra ricostruzione specie all’aggravante, ma il dato che vorrei evidenziare – ha aggiunto Trizzino – e’ che il dottore Bo e l’ispettore Mattei hanno commesso la calunnia. La prescrizione li salva perche’ i fatti sono risalenti a quasi trent’anni fa, l’elemento della calunnia rimane”. Una sentenza, comunque, “che non ci soddisfa”.
“L’AGENDA ROSSA E AMBIENTI ESTERNI” Lia Sava, procuratore generale di Palermo, con una decennale esperienza a Caltanissetta dove ha indagato a lungo sugli eccidi del 1992 a Capaci e in via D’Amelio, elenca i pezzi ancora mancanti alla verita’ sulle stragi, via D’Amelio in particolare, di cui domani ricorre il trentennale: “L’agenda rossa di Borsellino sparita – ha detto ad AGI – e l”extraneus’ nel garage di via Villasevaglios, in cui fu caricato il tritolo nella 126 usata per l’attentato, e di cui parla Gaspare Spatuzza. Elemento che si collega all’altro estraneo alle cosche, che sarebbe stato nel garage di Troia quando venne macinato il tritolo per la strage di Capaci. Cosa che pero’ non vuol dire che ci siano stati mandanti esterni, perche’ Cosa nostra non si fa dettare nulla da nessuno. Noi infatti abbiamo sempre parlato di concorrenti esterni”.
L’INQUIETANTE SONDAGGIO” Poi l’aspetto piu’ inquietante: la famosa “tastata di polso” di cui ha parlato Nino Giuffre’: “Fu il sondaggio in ambienti esterni alla mafia – aggiunge ancora l’alto magistrato – per decidere se procedere a quanto la commissione aveva deliberato gia’ in precedenza, cioe’ di uccidere Falcone e Borsellino in caso di esito negativo del maxiprocesso in Cassazione. La tastata di polso ebbe esito favorevole, da quegli ambienti esterni e deviati arrivo’ il placet. E in questa direzione si continua a indagare, per individuarli: fermo restando che i processi non sono sociologia, ma si fanno raccogliendo elementi da portare in dibattimento e da trasformare in prove”. Il tribunale di Caltanissetta nella sentenza del 12 luglio ha anche disposto la trasmissione degli atti alla procura per il falso pentito Scarantino per calunnia e falsa testimonianza e in ordine alle dichiarazioni rese da altri quattro poliziotti in quanto testi sospettati di falsita’ o reticenza. Una storia tragicamente senza fine. Ma la Pg Sava assicura: “Sappiamo tanto delle stragi e non e’ una sconfitta continuare a indagare, a 30 anni di distanza. L’ansia di verita’ e giustizia e il desiderio di colmare i buchi neri, a 360 gradi, non sono solo dei familiari delle vittime, ma appartengono a un intero Paese. Sara’ sempre fatto il massimo sforzo per arrivare a una verita’ il piu’ possibile completa”.

