Il nome del magistrato Alberto Di Pisa dice ormai poco o niente ai piu’ visto che sono passati 32 anni da quando fu protagonista di una delle tante pagine oscure della storia italiana, in questo caso della lotta alla mafia in Sicilia.
Un caso che e’ stato liberato dalla polvere del tempo da due giornalisti lombardi: Matteo Zitocchi e Riccardo Rosa, che hanno fatto rivivere quei fatti lontani, l’ “estate dei veleni” venne definita, nel loro “Il Corvo di Palermo” (Glifo Edizioni, 16 euro, pp. 178).
Gli autori riescono a fare immergere il lettore nell’atmosfera di quel periodo. Non erano passati neanche due anni dalla conclusione del maxiprocesso che aveva visto condannati centinaia di uomini di Cosa nostra grazie all’inchiesta portata avanti da un ristretto gruppo di magistrati, tra i quali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Oggi si celebra il “maxiprocesso” come una svolta storica della lotta alla mafia, ma allora non tutti la pensavano cosi’.
Il “metodo Falcone”, che aveva rivoluzionato l’approccio della giustizia italiana al fenomeno mafioso, a molti magistrati non piaceva affatto: a qualcuno perche’ legato alla vecchia idea che la giustizia dovesse perseguire i singoli reati e non l’attivita’ criminale complessiva di Cosa nostra, ad altri per banale invidia nei confronti di colleghi finiti loro malgrado sotto i riflettori.
Matteo Zilocchi e Riccardo Rosa ripercorrono una storia che sembra uscita dalla immaginazione di Leonardo Sciascia e riescono ad avvincere i lettori. Il racconto parte da quando trenta poliziotti circondano una villa ad una trentina di chilometri da Palermo che una soffiata aveva indicato come il rifugio di un boss di Cosa nostra, Gaetano Grado.
Nella rete finisce anche un altro capomafia che non sarebbe dovuto essere li’, ma negli Stati Uniti: Totuccio Contorno, uno dei massimi esponenti della mafia palermitana sconfitta e costretta alla fuga all’estero dai sicari dei corleonesi di Toto’ Riina.
Che ci faceva in Sicilia? Immediato il collegamento con una serie di omicidi che negli ultimi giorni aveva visto diversi “corleonesi” soccombere in feroci agguati. Contorno e’ stato pero’, con Tommaso Buscetta, uno dei pilastri dell’accusa nel “maxiprocesso”, e il sospetto e’ quindi che abbia approfittato della riacquistata liberta’ per tornare in Sicilia e portare avanti la vendetta degli “scappati” contro i “corleonesi”.
Un sospetto che viene rilanciato da lettere anonime inviate alle massime autorita’ del governo e della magistratura, con un’accusa ben precisa a Falcone: il magistrato avrebbe stretto un accordo con Contorno e, in cambio delle sue rivelazioni, gli avrebbe permesso di consumare la sua vendetta. Falcone si trova cosi’ bersaglio di un’accusa infamante che si va a sommare, poco dopo, alla calunnia che la bomba ritrovata nella villetta affittata all’Addaura, alle porte di Palermo, non e’ stata piazzata da “menti raffinatissime”, ma e’ solo una messinscena organizzata dallo stesso magistrato.
Chi ha scritto quelle lettere anonime? Chi e’ il “Corvo”, come fu battezzato dal giornalista di Epoca Pietro Calderoni? Ed e’ proprio Calderoni che per primo rivela la storia indicando il sospettato: Alberto Di Pisa, collega di Falcone che non ha mai nascosto di non condividere i suoi metodi investigativi e che si sospetta aver gia’ scritto in passato lettere anonime contro altri magistrati.
Lo scoop di Calderoli e’ che Domenico Sica, Alto commissario antimafia e uno dei destinatari delle missive del Corvo, con un trucco e’ riuscito a ottenere un’impronta digitale di Alberto Di Pisa e che l’ha fatta confrontare con quella ritrovata sulla lettera anonima che aveva ricevuto. Un primo esame non lascia dubbi, le due impronte sono identiche.
Ma quando la rivista e’ in stampa, ecco che dai laboratori dei Servizi arriva la doccia fredda: non si e’ piu’ certi che le due impronte siamo identiche, forse si’ e forse no. Nonostante la “prova regina” sia diventata claudicante, il 22 febbraio 1992 Di Pisa viene condannato in primo grado. Neanche un mese dopo viene assassinato l’eurodeputato Dc Salvo Lima e poi, in rapida successione, le stragi di Capaci e di Via D’Amelio in cui muoiono Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti di scorta dei due magistrati.
Dopo questo bagno di sangue, il 14 dicembre 1993 la Corte d’Appello di Caltanissetta ribalta la sentenza di primo grado e Di Pisa viene assolto.
Ma allora chi era il “Corvo”? Era proprio Di Pisa o, come si sospetta, qualcuno della Polizia spaccata in due tra i sostenitori di Gianni De Gennaro, che stava con Falcone, e di Bruno Contrada, che invece era contrario al maxiprocesso? Ai lettori farsi un’idea propria. D’altra parte si parla della Sicilia, la terra di Pirandello.

