CALTANISSETTA – In attesa di conoscere l’esito del voto, si rende onore con anticipo rispetto alla chiusura dei seggi elettorali che avverrà alle 15:00, all’atipico vincitore di questa tornata elettorale: l’astensionismo. Il dato, relativo alle 22:00 di domenica sera, è da brividi: ha votato il 55,17% degli aventi diritto, -7% rispetto al 2008. Indipendentemente dall’esito delle elezioni, il primo espressivo dato è che l’Italia è un paese in cui la rappresentatività democratica non esiste più. Un dato preoccupante che oscura ogni altra valutazione: non si parla di vincitori o sconfitti, quando non si è giocato o ha giocato poco più della maggioranza degli aventi diritti al voto; un italiano su due, circa, non è andato a votare. Questo è un numero reale; il resto è la suddivisione della metà che dovrebbe, anzi dovrà governare il paese. Ci prendiamo la nostra dose di rischi, celebrare un vincitore, con la gara ancora in corso, è un cimento: abbiamo voglia di azzardo.
Per comprendere l’incisività del fenomeno è sufficiente dare un’occhiata ai dati del passato. Gli italiani sono sempre andati alle urne più massicciamente della media europea. Fino al 1976 (l’anno del temuto sorpasso del Pci sulla Dc) il partito del non voto rappresentava il 6,6% dell’elettorato (e anche la quota delle schede nulle era trascurabile, intorno al 2%), ma negli ultimi trent’anni la situazione è andata gradualmente modificandosi. Nel 2001 l’affluenza era scesa all’81,4% (schede non valide 6%) e nelle elezioni politiche del 2008, l’incidenza di non votanti ha raggiunto quota 19,5% e adesso è destinata ad aumentare.
Difficile capire le motivazioni che spingono questa massa eterogenea di cittadini (differenti per età, cultura, localizzazione geografica) a disertare le urne. Forse, e sottolineiamo forse, l’astensionismo è la scelta più meditata. Gli astenuti, valutano i programmi elettorali e i candidati, e dopo attenta meditazione, decidono di non votare considerata la qualità non eccelsa di ciò che si è analizzato. Peraltro dal 1993 l’astensionismo è stato riconosciuto come un comportamento legittimo del cittadino, ridefinendo il voto come un diritto e non come un dovere (leggi 276 e 277). Ciò non toglie che nell’ampio spettro di coloro che si astengono (per apatia, per protesta, per ragioni demografiche legate all’invecchiamento della popolazione o per disorientamento politico) prevalgano quelli che preferiscono non confessarlo: secondo un’indagine Istat di qualche anno fa, a fronte di un’astensione di circa il 20% meno dell’8% degli interpellati dichiarava di non essere andato a votare.
Considerando la qualità della recente campagna elettorale, sono evidenti i motivi che potrebbero aver indotto gli italiani a non votare. Leader “cotti”, proposte demagogiche, rimborsi di tasse, lauree false, programmi economici che sarebbero stati scritti da nobel americani che in realtà non ne sanno niente: è stata la campagna elettorale dei “cazzari” che come conseguenza potrebbe aver incentivato le schiere degli astenuti.
Probabilmente potrebbe aver influito anche l’attuale legge elettorale che prevede le liste bloccate: con l’attuale sistema, che mantiene per la quota proporzionale quanto previsto dal precedente Mattarellum, l’elettore si limita a votare solo le liste di candidati, senza possibilità di indicare preferenze. L’elezione dei parlamentari dipende quindi dalle scelte e dalle graduatorie stabilite dai partiti o dai movimenti.
Alla fine, rimane un solo dato: ha vinto l’astensionismo. Gli altri “vincitori” partitici, qualunque sia il responso delle urne, dovranno confrontarsi con questa innegabile realtà: parte degli italiani non crede più alla democrazia ed alle elezioni.
Meditate gente, meditate.

