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L’omertà fatta con le parole

Redazione

L’omertà fatta con le parole

Sab, 23/06/2012 - 19:34

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CALTANISSETTA – La terra di omertà non è terra di silenzi. La mafia comunica e lo fa anche con un linguaggio efficace. Il linguaggio è fatto di gesti, comportamenti, parole e di silenzi. Il silenzio che costruisce l’omertà non è quello che aiuta lo spirito a meditare, non è il vuoto di sé e il vuoto attorno a sé che consente di ritrovare una relazione autentica con le creature e con Dio. E’ invece un intervallo tra le parole, i gesti e i comportamenti, che serve ad attribuire ad essi un significato artefatto, ambiguo e minaccioso. E’ un silenzio che deforma la realtà, che ne esalta alcuni aspetti in maniera interessata e strumentale, che mortifica e soggioga chi vi si trova avvolto; non è il silenzio che rivela una verità, che consente di ascoltare lo spirito e sentirsi parte del tutto.

La mafia è invadente e ha quindi cercato sempre di parlare di sé, anche quando di sé diceva che non esisteva. Per questo ha distorto il senso delle parole, modulandovi attorno i silenzi che potessero renderle equivoche agli orecchi distratti ma pesantemente chiare ai cuori oppressi. C’è stato un tempo in cui il mafioso diceva che nel mondo c’era gente cattiva e che bisognava avere dei buoni amici capaci di aiutarti per stare tranquilli; di mafia non si parlava, si raccontava di una delinquenza che alcune persone in grado di farsi rispettare avrebbero sedato per consentire alle persone per bene di stare tranquille. Ovvio che a questi servitori dell’ordine andassero offerti potere, rispetto, qualche regalia e tanta impunità. Quando qualcuno diceva ad alta voce quella parola, mafia, le si dava il significato dell’orgoglio, del folclore oppure ci si lamentava del fatto che la si usava in termini negativi per fare circolare una serie di invenzioni e cattiverie di chi voleva male alla Sicilia. Per contrastare chi parlava di mafia, poteva bastare il silenzio; ma più spesso ci volevano altre parole.

Oggi nessuno può più dire che la mafia non esiste. Le bombe esplose nel 1992, a Capaci prima e in via D’Amelio dopo, hanno rotto il silenzio o, se si preferisce, hanno fatto tacere annose discussioni tanto appassionate quanto inutili sul se e sul quanto fosse davvero pericolosa la mafia. Da quel momento l’omertà non si poteva praticare più con i silenzi: o sarebbe morta o avrebbe preso altre forme.

Non è morta. Da vent’anni si parla moltissimo di mafia e sembra che ogni giorno se ne parli di più. Ma di cosa si parla? Chi per lavoro cerca di capire come continui ad operare la mafia si confronta con una realtà estremamente complicata, in continua evoluzione e per questo sfuggente; si rende conto che capire ciò che la mafia è stata ieri serve solo per prevedere ciò che potrebbe diventare domani e per capire cosa sta succedendo oggi.

Non si permetterebbe di offrire certezze matematiche sui fenomeni criminali; raccomanda a tutti e, a se stesso per primo, di tenere un elevato livello di attenzione per riconoscere la mafia di oggi per come di volta in volta si manifesta; guarda con distacco chi si dice in grado di collocare in appositi elenchi i virtuosi per separarli dai mafiosi, sulla base di categorie “mafiologiche” superate da anni.

Cinquant’anni fa un magistrato disse che bisogna fare attenzione a scrivere in una legge in che cosa consiste il reato di mafia, perché i mafiosi aspettano proprio di sapere che cosa viene considerato illecito dallo Stato per adattare subito i propri comportamenti e forgiare le necessarie apparenze in modo da continuare a fare i mafiosi senza violare formalmente la legge.

Ora che la mafia esiste sia per la legge sia per la cultura comune, per fare il mafioso bisogna sapersi nascondere dietro le parole: una montagna di parole dette da tutti coloro i quali con approssimazione e superficialità descrivono una realtà molto più semplice e statica di quella che magari frattanto ci gira attorno senza che ce ne accorgiamo.

Proclami, slogan, ricostruzioni distorte o falsate, che servono a tanti magari solo per partecipare, con le chiacchiere, alla lotta alla criminalità, ma che, disorientando l’opinione pubblica e fornendole rappresentazioni irreali, rendono un utile servizio ai dinamici e cangianti mafiosi che possono continuare ad operare senza essere riconosciuti come tali.

Per combattere l’omertà non è detto che ci sia bisogno di parlare: se si parla a vanvera o se si mistifica, si rafforza l’omertà. Ciò che si dice, in questi casi, non disturba la mafia e l’”indicibile” invece non viene detto.

Per combattere l’omertà bisogna imparare ad ascoltare; ad osservare, a respirare e ad avvertire quello che diventa ogni giorno questa mutante mafia, che è un fatto umano ma che non morirà mai da sola se non le toglieremo ciò di cui si nutre. Poi, dovremo agire, assumere comportamenti concreti che potranno essere accompagnati dalle parole; ma solo i comportamenti daranno significato alle nostre parole e le trasformeranno in un atto di coraggio. La forza dei comportamenti rompe il muro dell’omertà, svela la mafia e può renderla impotente; tante parole, certe parole gliene possono costruire uno ben più solido e protettivo.

Non chi dice “antimafia, antimafia!”…..

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