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Caltanissetta, processo al boss latitante Messina Denaro: la sentenza slitta a domani

Redazione

Caltanissetta, processo al boss latitante Messina Denaro: la sentenza slitta a domani

Lun, 19/10/2020 - 13:48

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CALTANISSETTA – Slitta a domani la sentenza del processo a carico del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro, accusato per le stragi di Capaci e via D’Amelio, che si celebra davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta, presieduta da Roberta Serio. I giudici sarebbero dovuti entrare oggi in camera di consiglio per emettere la sentenza. A darne notizia, a inizio udienza, è stata la Presidente Roberta Serio, che ha spiegato: “L’udienza è iniziata in ritardo a causa dell’adeguamento dei protocolli sanitari chiesti dalla Presidenza del tribunale”. Non solo. E’ stata anche riferita una Pec inviata dall’avvocato Roberto Avellone, difensore di parte civile, che ha chiesto “la correzione di un errore materiale” su un nome. Sono state anche rinnovate le conclusioni dell’accusa, della difesa dell’imputato, difensore d’ufficio, e delle parti civili. Dopo una breve camera di consiglio, la Presidente Roberta Serio, ha anche respinto la richiesta di sentire il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara. Il pentito, in tre lettere mandate alla corte d’assise, ha chiesto di essere ascoltato perché avrebbe delle cose da “raccontare sulla strage via D’Amelio” e sulle presunte “responsabilità di Messina Denaro”. “Non ci sono ragioni per disattendere pareri già espressi in precedenza”, ha detto il procuratore aggiunto Paci. Che ha anche chiesto che gli atti vengano inviati alla procura di Catania. Perché Calcara ha attaccato pesantemente il procuratore aggiunto perché in requisitoria il pm aveva detto che il collaboratore è un “inquinatore di pozzi” e “collaboratore eterodiretto”. Alla fine la presidente ha accolto la richiesta di accusa e difesa e Calcara non verrà sentito. Gli atti verranno inviati a Catania. Il procuratore aggiunto Gabriele Paci al termine della requisitoria aveva chiesto l’ergastolo per il boss, accusato di essere uno dei mandanti degli attentati di Capaci e Via D’Amelio. Nella sua requisitoria il pm aveva parlato di “unanimità dei consensi al progetto sulle stragi di Totò Riina collegiale”. “Totò Riina – aveva detto Gabriele Paci un requisitoria- può contare su un gruppo di persone fidate che chiama “supercosa”, ai quali affida il compito di organizzare la missione romana. Questo rafforza Riina non soltanto perché ha un gruppo segreto che fa capo a lui ma perché questo gruppo gli consentirà tra le varie opzioni operative di optare per quella che era più funzionale alla realizzazione dei suoi interessi. Scartata la missione romana sceglie quella di Capaci. Indipendente dall’esito la supercosa rafforzò i propositi di Totò Riina, con un gruppo di persone pronto ad uccidere. Nell’ottobre del ’91, con l’appoggio di Messina Denaro, Totò Riina, seppe che aveva questa disponibilità di uomini e mezzi”. 

 “Borsellino da tempo era nel mirino di Matteo Messina Denaro, perché poco prima delle Stragi aveva chiesto l’arresto del padre e per aver patrocinato la collaborazione di alcuni pentiti”, aveva ancora detto il procuratore aggiunto Gabriele Paci, ricostruendo davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta gli anni precedenti agli attentati di Capaci e via d’Amelio, nel processo in cui il latitante e’ accusato di essere uno dei mandanti. Per Matteo Messina Denaro, il magistrato era colui che aveva scritto l’ordine di cattura nei confronti del padre, Francesco Messina Denaro, a cui viene sostanzialmente imposta la latitanza”, ha aggiunto il pm Paci. Nel gennaio 1990 il magistrato aveva chiesto la sorveglianza speciale e il divieto di dimora per don Ciccio, ma il Tribunale di Trapani rigetto’ la richiesta, ma sulla base delle stesse accuse nell’ottobre dello stesso anno venne emesso un ordine di cattura nei confronti del capomafia”. “Avere il consenso di Matteo Messina Denaro – aveva detto ancora il Pm Paci, Che oggi è reggente della Procura – gli consentiva di avere delle spie in ogni anfratto di Cosa Nostra che potevano portare alla luce quelli che erano i dissensi interni. Matteo Messina Denaro serve proprio a questo, a stanare e uccidere i riottosi”. “Quando nel 1991 comincia la guerra di mafia Paolo Borsellino opera nel trapanese, nel territorio gestito da Matteo Messina Denaro. Abbiamo ripercorso quegli anni maledetti – aveva continuato il Pm Paci – Totò Riina, per iniziare la stagione stragista dovette veramente convincere i rappresentati provinciali della bontà del suo progetto, riuscire a costruire il consenso. Non è sostenibile che Totò Riina avrebbe comunque intrapreso a prescindere quella strada senza avere il consenso di Cosa Nostra, perché se ci fosse stato il dissenso di una delle province ci sarebbe stata una guerra. La storia di quegli anni non sarebbe stata la stessa. Messina Denaro non può aver prestato consenso con riserva. Fu lui più di tutti l’uomo che aiutò Riina a stroncare sul nascere le voci del dissenso interno”.