In questa prima domenica di agosto, Caltanissetta si presenta nella sua veste più silenziosa e rarefatta. La città si svuota, come accade puntualmente ogni estate, divisa tra chi fugge verso i litorali agrigentini, le spiagge di Cefalù o si spinge fino a Taormina per una giornata di mare e bellezza, e chi invece si rifugia nelle villette di campagna sulle colline nissene, magari con piscina, alla ricerca di un po’ di frescura e relax.
Le strade del centro si svuotano, le attività abbassano le saracinesche, il caldo batte sulle pietre delle piazze e tutto sembra immobile, sospeso, come in una scena già scritta. Ma poi accade qualcosa che spezza la quiete: proprio sotto il sole cocente di mezzogiorno, tra i vicoli deserti, compare un quartetto di turiste.
Due ragazze belghe, un ragazzo irlandese e un’italiana, appaiono improvvisamente in piazza Garibaldi, intente a fotografare la Cattedrale e a osservare con attenzione i dettagli architettonici. Poco dopo vengono avvistate nei pressi di Palazzo Moncada, visibilmente entusiaste per quanto stanno scoprendo. È un incontro inatteso, che incuriosisce: da dove vengono e cosa le ha portate a Caltanissetta?
La risposta arriva con naturalezza. Stavano percorrendo la Sicilia da turiste, partite da Cefalù e dirette ad Agrigento. E in mezzo, quasi per caso, hanno deciso di fermarsi a Caltanissetta. Un gesto spontaneo, ma emblematico: è proprio questo il tipo di flusso turistico che la città dovrebbe saper intercettare e valorizzare.
Le loro reazioni sono sorprendenti e sincere. Apprezzano il centro storico, la luce calda della pietra, il fascino intatto delle vie antiche. Si informano sulla storia della città, chiedono dettagli, mostrano interesse. I loro occhi brillano, colmi di meraviglia. Ma poi arriva la domanda cruciale: “Dove possiamo mangiare qualcosa?”
Erano circa 45 minuti che girovagavano in centro alla ricerca di un locale, un bar, un ristorante aperto. Ma tutto era chiuso. Nessuna possibilità, nemmeno per una bibita fresca. Ed è in quel momento che si svela il limite più grande: una città bella ma disattenta, pronta a sorprendere ma non a servire.
Con qualche indicazione, fortunatamente, sono riuscite a trovare un posto dove pranzare. Ripartiranno verso Cefalù portando con sé il ricordo di una Caltanissetta affascinante e autentica, una città che le ha stupite per la sua bellezza, ma che avrebbe potuto (e dovuto) accoglierle meglio.
E allora, forse, è il momento di cominciare a raccontare Caltanissetta anche per quello che è e per quello che potrebbe essere. Una città con tante criticità, certo, ma anche con un potenziale enorme. Sta anche a noi, cittadini normali, scegliere di valorizzarla, di metterne in luce i pregi senza nascondere i problemi, ma senza nemmeno arrenderci all’abitudine di parlarne solo male.
Perché se ogni giorno si racconta solo il brutto, non è solo una questione di campanile, è anche una narrazione distorta. E quando a ricordarcelo sono quattro ragazze arrivate per caso, entusiaste davanti a una città che spesso non sa guardarsi con i propri stessi occhi, forse è davvero il caso di fermarsi e riflettere.

