CALTANISSETTA – È il simbolo silenzioso di un’epoca, un gigante d’acciaio che per decenni ha portato la voce dell’Italia oltre i confini nazionali. E oggi, mentre si discute della sua demolizione, cresce la mobilitazione nel mondo tecnico e accademico. Tra gli interventi più significativi, quello dell’ingegnere strutturista Francesco Ippolito, che su LinkedIn ha condiviso una riflessione dettagliata e appassionata sull’importanza dell’antenna Rai di Caltanissetta, la struttura in acciaio più alta d’Italia.
“La struttura in acciaio più alta del Paese non è un grattacielo, ma un’antenna”, scrive Ippolito. Si tratta della storica torre RAI che svetta per 286 metri sulla collina di Sant’Anna. Un’opera ingegneristica realizzata tra il 1949 e il 1951, che per anni ha rappresentato un primato europeo: fino al 1965, era la più alta d’Europa prima di essere superata dalla Belmont Transmitting Station nel Regno Unito.
Il professionista ne ricostruisce la genesi tecnica: “Realizzata in traliccio metallico autoportante, con moduli prefabbricati da 7,6 metri, bullonati e con una base incernierata su isolatori in porcellana da oltre una tonnellata. Otto funi in acciaio garantiscono la stabilità laterale e gli ancoraggi sono saldamente fissati nel calcestruzzo armato. Un’opera da 118 tonnellate, realizzata con calcolo manuale e intelligenza progettuale”.
Un patrimonio industriale che ha avuto anche un ruolo strategico nella storia della radiodiffusione italiana. La torre faceva parte del grande centro RAI di trasmissione in onde lunghe, medie e corte verso il Mediterraneo e il Nord Africa. Era l’unico impianto italiano capace di trasmettere in onde lunghe.
Ma oggi quella struttura è spenta. Dal 2012 l’impianto non è più in funzione, dopo la progressiva dismissione della trasmissione in modulazione di ampiezza. La manutenzione è costosa e RAI Way ha avviato da tempo le pratiche per la demolizione. “L’ultima riverniciatura risale al 1982 – ricorda Ippolito – e il tempo ha fatto il suo corso. Il Comune di Caltanissetta ha tentato di salvarla, si è parlato di un museo, di farne un simbolo. Ma le soluzioni sono rimaste in sospeso”.
Ecco allora la riflessione che l’ingegnere propone come monito: “Questo non è solo un fatto locale. È una domanda nazionale: quanto vale davvero il nostro patrimonio tecnico e industriale?”. Un quesito che interroga non solo i tecnici, ma l’intero Paese, chiamato a decidere se salvare o cancellare un’opera che rappresenta un pezzo importante della storia ingegneristica italiana.