CALTANISSETTA. Un esemplare ritratto a tutto tondo è quello che l’ex Magistrato dott. Ottavio Sferlazza ha tracciato del Giudice Rosario Livatino, durante l’incontro tenutosi giovedì 16 maggio, presso la sala biblioteca dell’I.I.S. “A. Volta”. L’evento, a cui ha partecipato un folto pubblico , è stato aperto dal saluto del Dirigente Scolastico Vito Parisi, che ha ringraziato il dott. Sferlazza per la sua disponibilità e le prof.sse Giunta, Parrinello e e Butera, le prime due docenti di Diritto e la terza di Materie letterarie, per il lavoro di coordinamento svolto, ricordando anche come la figura di Livatino, per molti anni scolastici, sia stata oggetto di studio nei percorsi di Educazione civica strutturati per gli studenti di tutte le classi.
Presa la parola, il dott. Sferlazza ha esordito rievocando con commozione alcuni “eroi” vittime di mafia, in particolare Paolo Borsellino, con cui il dottore ha svolto l’uditorato giudiziari e ha ricordato quel tragico 21 settembre 1990, in cui fu proprio lui, allora sostituto procuratore presso la Procura di Caltanissetta, a giungere sul luogo dell’assassinio di Livatino e successivamente a indagarne gli esecutori materiali; “eroica” il dott. Sferlazza ha definito la testimonianza oculare di Pietro Nava, ex agente di commercio, oriundo del milanese, il primo testimone di giustizia contro la mafia, il quale collaborò immediatamente per l’identificazione dei killer, pagando poi a caro prezzo questa sua esemplare collaborazione: vide infatti stravolta la propria vita e quella della sua famiglia, perché fu costretto a rinunciare al proprio lavoro, a cambiare la propria identità, a trasferirsi all’estero.
Sintetizzato l’iter processuale e il meschino quanto vano tentativo di infangare la memoria del giudice Livatino, il dott. Sferlazza ne ha tracciato il profilo, definendolo “magistrato integerrimo, uomo giusto e credente di intima coerenza”; Livatino infatti ha coniugato questi tre aspetti nella sua vita quotidiana, ritenendo che l’amministrazione della giustizia fosse sia un onere da svolgere con umiltà e responsabilità, sia un “atto di amore” verso la società civile e verso lo stesso imputato, la cui umanità deve sempre essere rispettata da chi esercita il potere giudiziario. Come ha sottolineato il dott. Sferlazza, dai diari del giovane giudice assassinato e dalle sue frasi, divenute giustamente famose per il loro profondo significato morale, emerge chiaramente che il concetto di giustizia propugnato da Livatino non sia confinato nei limiti della visione immanente, ma si elevi a ideale religioso, nella ferma convinzione che l’amministrazione della giustizia umana richieda l’insostituibile illuminazione divina. Tale nobile concezione è dimostrata, oltre che dalla breve carriera di Livatino, anche dal frequentissimo ricorrere tra i suoi scritti personali della sigla S.T.D., acronimo di Sub tutela dei, che indica l’affidamento incondizionato a Dio con cui Livatino, uomo di matura religiosità, esercitava il proprio ruolo di magistrato, coniugando fede, professionalità e spirito di servizio alla cittadinanza.
Considerando alcuni casi di cronaca, che hanno minato la credibilità etica della Magistratura agli occhi dell’opinione pubblica, il dott. Sferlazza ha evidenziato come l’eroismo paradigmatico di Livatino, insieme a quello di altri magistrati, costituisca un esempio integerrimo di indipendenza e autonomia, requisiti indispensabili per quella palingenesi culturale, per la quale la scuola può e deve offrire un contributo fondamentale, come avevano già intuito i giudici Rocco Chinnici e Paolo Borsellino.
Concluso l’intervento del dott. Sferlazza, il Dirigente Parisi, sottolineando la “mite fermezza” e la “discrezione” di Livatino, ha aperto il dibattito, da cui sono emerse significative riflessioni sull’odierna funzione della magistratura e sui preoccupanti tentativi di riforma, che rischiano di inficiarne il ruolo e l’efficacia.
A conclusione dell’evento il Dirigente Parisi, alla presenza degli intervenuti, dopo aver rinnovato i ringraziamenti al dott. Sferlazza, ha scoperto la targa posta davanti al cancello dell’istituto, targa che rende omaggio a Rosario Livatino, sulla quale è incisa una delle sue frasi più famose e significative: “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”.