Rony Tabash è un arabo cristiano di Betlemme. Vende presepi fatti con il legno d’ulivo, rosari e icone. “Ad aprire il negozio fu mio nonno nel 1927 e dopo, dal 1956, l’attività l’ha portata avanti mio padre Victor. Ora ci sono io”. Dal 7 ottobre la sua bottega, proprio a Piazza della Mangiatoia, non ha più clienti. “Noi viviamo di turismo religioso, a Betlemme non c’è altro, c’eravamo appena ripresi dalle chiusure del covid. Ma qui appena vedi uno spiraglio di luce tutto piomba di nuovo nell’incertezza”, dice amareggiato. “Io non voglio chiudere: ci sono venticinque famiglie che lavorano per noi il legno, che faremo?”. Il dramma della guerra è anche questo pezzo di economia che rischia di sparire per sempre. Lo ha sottolineato il Patriarca Latino di Gerusalemme nel suo recente appello alle donazioni per la Terra Santa: “L’attuale crisi non ha causato solo morte, distruzione e fame a Gaza, ma anche un alto tasso di disoccupazione, soprattutto nell’area di Betlemme”. Nel luogo in cui secondo la tradizione è nato Gesù la principale attività economica è il turismo religioso. Da un mese decine di famiglie sono a casa senza lavoro.
“E’ un momento molto difficile ma il mio negozio è aperto ogni giorno. Non è per lavoro, non guadagniamo neanche un dollaro, apriamo perché il nostro cuore è per questa piazza. Mio padre a Natale compie 60 anni di presenza come negoziante della piazza, lui muore se non va ogni giorno ad aprire la bottega. Ma siamo gli unici che apriamo”, dice Tabash Rony è un quarantenne gioviale, parla tante lingue, i pellegrini lo conoscono tutti, lo chiamano “il sindaco di Piazza della Mangiatoia”. Quando Papa Francesco, nel maggio del 2014, celebrò la Messa proprio in quella piazza, Rony era in prima fila e cantò per il Pontefice. Un ricordo indelebile ma adesso lontano. “Credimi – dice – questi giorni sto davvero perdendo la speranza”. Poi racconta: “Un mio amico cristiano che aveva una attività turistica con i pulmini mi ha detto che voleva andare via. Io non ci credevo, pensavo che scherzasse. E invece se ne è andato davvero – dice incredulo parlando al telefono -. Ma che facciamo? Se noi cristiani andiamo via, Betlemme si trasformerà in un museo”. I presepi artigianali, pronti per i gruppi di pellegrini che dovevano arrivare queste settimane, sono rimasti negli scatoloni. E anche venderli a distanza “è diventato più difficile e più costoso, ci sono tanti problemi per spedire la merce, con la posta, con la dogana”.
Nella stessa situazione di Rony ci sono almeno una cinquantina di piccoli negozianti che vivevano della vendita dei souvenir religiosi. “Io lo dico sempre: il mondo ha vissuto due anni di covid. Noi siamo sempre nella situazione del covid…”. Un isolamento (non è facile, ora quasi impossibile, entrare e uscire da Betlemme) che è mitigato solo dall’afflusso dei pellegrini cristiani. Dal 7 ottobre anche questo è venuto a mancare. Vicino al negozio di Rony, oltre alla famosa Basilica della Natività, c’è il più piccolo santuario della Madonna del latte, alla quale ci si rivolge per avere figli. “Ma oggi non c’è molta gente che vuole avere figli in questa situazione”, conclude Rony.