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Falcone: Fava, sento rischio velo ipocrisia su questo giorno

Redazione

Falcone: Fava, sento rischio velo ipocrisia su questo giorno

Lun, 23/05/2022 - 16:06

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“Trent’anni, d’accordo. Io pero’, sono sincero, sento il rischio che un velo d’ipocrisia avvolga questa giornata”. Lo afferma il presidente della commissione Antimafia dell’Assemblea regionale Siciliana, Claudio Fava, sul trentennale della strage di Capaci. “La prima ipocrisia: una memoria senza verita’ e’ solo liturgia – osserva Fava – e noi su Capaci (e su via D’Amelio) abbiamo verita’ minime, consolatorie, inoffensive. E un fatto, giudiziariamente acclarato, che la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino rispondesse a urgenze ed interessi non solo mafiosi. Eppure sul ruolo che apparati dello Stato ebbero in quelle stragi sappiamo poco, pochissimo. I vertici della nazione, che questa mattina si sono dati festoso e commosso appuntamento a Palermo, dovrebbero pretendere dalle istituzioni che essi rappresentano un atto di onesta’ morale e di verita’. Cosi’ non e’ stato in questi trent’anni. Non conosciamo le catene di comando dei servizi che acconsentirono alla manipolazione delle indagini, ne’ – sottolinea Fava – gli ‘affidavit’ politici che ricevettero dal governo dell’epoca. Abbiamo fatto finta di credere che il piu’ clamoroso depistaggio della storia italiana sia opera di un funzionario e di due ispettori di polizia, gli unici imputati a CALTANISSETTA per le menzogne su via D’Amelio”. “La seconda ipocrisia – sostiene Fava – e’ l’eredita’ di Giovanni Falcone. Sbriciolata. La procura nazionale antimafia e’ un ufficio di molta forma e pochissima sostanza, mai capace in questi anni di svolgere almeno quella funzione di coordinamento tra le procure distrettuali che la legge le attribuisce. E l’attacco all’ergastolo ostativo e’ un altro pezzo di quella eredita’ che si smarrisce”. “La terza ipocrisia: questo nostro piccolo, livoroso consesso dell’antimafia di diritto (e di pochissimi fatti) – dice ancora Fava – gli esibizionisti che mostrano la propria scorta come se fosse un prezioso capo di biancheria intima; i fini narratori che parlano di Falcone e Borsellino chiamandoli “Giovanni” e “Paolo”; i frequentatori delle peggiori taverne della politica e dei piu’ imbarazzanti pregiudicati per mafia che poi trattano queste giornate di memoria come se fosse una domenica delle palme, vestito lustro e via in chiesa e al convegno con faccia di circostanza; ma anche quelli che hanno cavalcato questa memoria mutandola in ferocia pubblica, in una rabbia millenarista, sprezzante, livida. A me – chiosa Fava – di Falcone piacevano il tono sobrio e le idee concrete. Oggi, attorno alla sua morte, sento poca 

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