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Salvo Musumeci: «Mio padre,  dalla tragedia di Peppe alla vittoria»

Redazione

Salvo Musumeci: «Mio padre,  dalla tragedia di Peppe alla vittoria»

Gio, 09/11/2017 - 09:30

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Il primogenito del neogovernatore: «Mio fratello voleva emigrare, ma fu stroncato da un infarto»

La prima dedica della sua elezione l’ha fatta ai suoi tre figli. E ha aggiunto «ai figli dei siciliani». Aulico e scontato, avrà potuto pensare qualcuno. Ma solo chi conosce la storia privata e amara vissuta da Nello Musumeci sa quale tormento ci sia dietro un padre ieri mattina al cimitero «per ringraziare Peppe». Lo chiamavano tutti così in famiglia Giuseppe, l’ombra del padre cinque anni fa per la campagna elettorale vinta da Rosario Crocetta, stroncato nel maggio 2013 da un infarto fulminante, a trent’anni. Storia privata, ma non troppo, che il neogovernatore, il fascista perbene, come lo descrivono, pronto a guerreggiare nelle polemiche politiche, non riesce nemmeno a sfiorare, travolto dall’emozione. Per capire bisogna violare la privacy del primogenito, Salvo, 38 anni, ritornato dopo la tragedia da Londra dove si era trasferito in cerca di lavoro. Unico a rientrare perché il più piccolo, Giorgio, 28 anni, pur ogni giorno al telefono con il padre, fa l’attore e sta a Roma. Come la madre, la signora Giovanna, separata da 13 anni dal governatore, grato per averla ritrovata accanto negli ultimi giorni di campagna elettorale a Catania: «Resta la donna più importante della mia vita. La rottura? Colpa del mio impegno politico…».

«Vai, figlio mio». Si limita solo a questa confidenza il presidente lasciando il cimitero, ignaro di come lo stesso Salvo interpreti e spieghi la dedica «ai figli dei siciliani». Poche parole che celano la sofferenza di «tanti discorsi fatti a tavola». Tra i figli e il padre. E poi fra le nipotine e il nonno. Con le ragazze di Salvo, 17 anni la più grande, 12 la piccola, decise pure loro ad andare via dalla Sicilia. Una storia che comincia con la prima «fuga», quella di Salvo: «Mi trasferii in Spagna per potere lavorare. Qui non trovavo niente. Andò bene. Poi a Londra. Aprii una limited, la nostra srl, per vendere caffè importato dall’Italia. Mia moglie felice, come le bimbe. È storia del 2013. Un giorno arriva Peppe e capisce che può lavorare pure lui in Inghilterra. E mi interroga: “Come faccio a lasciare solo papà?”. Torna a casa e una sera glielo dice: “Per farmi una vita, vorrei andare via pure io”. E lui: “Vai, figlio mio”. Il giorno dopo, l’infarto. Cancellato ogni progetto. Il dramma cala su tutti noi. Mamma già a Roma, Giorgio aggrappato al suo lavoro. E io convinco mia moglie a tornare, per stare vicino a mio padre. Ma da quel momento sono le mie figlie a dire al nonno che prima o poi andranno via, tutte e due impegnate a studiare le lingue. E lui vede in questo tormento dei giovani il dramma di quei “figli dei siciliani” richiamati nelle sue prime parole. Lo sa, l’ha sperimentato in prima persona, che la Regione deve aiutare i suoi figli e questo dovrà diventare il suo primo impegno. L’ha promesso a me e Giorgio, l’ha promesso a Peppe, pensando ai 500 mila giovani che nemmeno lo cercano più un lavoro in Sicilia».

Mai una raccomandazione. Ma nei discorsi «fatti e rifatti tante volte a tavola» il tema è «quella palla al piede della burocrazia», come la descrive Salvo anche al padre: «Noi giovani il lavoro dobbiamo inventarcelo. Ma spiegami perché a Oxford due ragazzi palermitani con un forno a legna su un furgoncino possono vendere per strada pizza cotta all’istante dopo avere chiesto e ottenuto una semplice autorizzazione mentre qui sarebbero ostacolati e spennati da autorità comunali e sanitarie… Un artista di strada qui rischia il verbale per accattonaggio, ma a Londra ho visto ragazzi uscire dagli uffici comunali dopo pochi minuti con l’impiegato che individua l’area, ti assegna una fascia oraria, ti fa pagare il suolo pubblico e ti dice buona fortuna». Sono anche questi confronti ad avere caricato Nello il governatore, fiero di non avere mai raccomandato un figlio, soddisfatto dalla nuova occupazione di Salvo: «Mi sono messo a coltivare ulivi, arance, limoni e ho piantato un vigneto che fra tre anni dovrebbe dare la prima uva. Provo a mettere a reddito una campagna del nonno…». Un lavoro a singhiozzo nelle ultime settimane, sospeso per seguire il candidato a caccia di voti. Fianco a fianco tutto il giorno. «Come faceva Peppe cinque anni fa». Poi si corregge: «No, Peppe c’era in questi giorni. Lo sentivamo. Lo avvertiva mio padre. E per questo ha ringraziato i suoi tre figli, guardando il Cielo».

(Di Felice Cavallaro, fonte corriere.it)