CALTANISSETTA – La lettura del Suo intervento dal titolo «I sogni tramontati di Caltanissetta» meritava una attenta riflessione. Nella qualità di responsabile pro tempore del Consorzio Universitario ritengo di dovere intervenire non tanto per contrastare le argomentazioni proposte quanto per specificare alcuni aspetti.
Seguo con attenzione le sue inchieste sugli sprechi pubblici e sulle responsabilità della politica e delle classi dirigenti e ritengo di potere sostenere che le sue valutazioni – anche insieme a Sergio Rizzo – non si fondano su pregiudizi. Capita, tuttavia, specie nelle realtà meridionale, di ritrovare, seppur strisciante, il grande male della ineluttabilità del destino negativo che sembrerebbe convivere con il Mezzogiorno, nelle sue varie articolazioni. Magari, nell’affermare che ‘tanto le cose vanno sempre così’, si evita di chiamare alle proprie responsabilità chi ha determinato un danno ovvero non ha fatto nulla per evitarlo.
Personalmente non apprezzo, per scelta culturale e morale, l’indifferenza e l’ignavia. Ritengo che sia giusto e necessario l’impegno costante, attivo e propositivo.
Tutto ciò premesso, se volessimo affrontare il nodo della mancata esplosione universitaria di Caltanissetta, che l’articolo pone, riterrei opportuno fare un passo indietro. I grandi Atenei – anche per sovraffollamento – nei decenni scorsi attivarono una politica di decentramento territoriale capace di drenare risorse fresche da parte delle comunità locali. Successivamente le condizioni si sono modificate, a partire dalla riduzione delle risorse finanziarie degli Enti locali e, soprattutto, dalla modificazione dell’organizzazione universitaria obbligata al rispetto di standard specifici. Oggi, ancora di più, occorrerebbe una specifica programmazione che eviti duplicazioni, semplificazioni e garantisca qualità, efficacia ed efficienza dell’offerta formativa proposta. In Sicilia, in particolare, tutto ciò dovrebbe vedere, come da norma, il ruolo attivo della Regione e di converso degli Atenei. Anche per le case dello studente, dovrebbe registrarsi l’impegno del sistema universitario regionale: programmati gli interventi realizzativi, finanziati con risorse regionali, dovrebbero prevedersi le modalità di gestione, da parte degli ERSU; purché a questi ultimi non si riducano le risorse in bilancio.
Sarebbe assurdo che in Sicilia, come avvenuto, si svolgessero guerre di frontiera fra Atenei alla conquista di spazi territoriali (e risorse fresche) anche attraverso la concorrenza nell’offerta di nuovi Corsi, a soddisfare le ambizioni locali. È avvenuto, anche nel disinteresse generale. Oggi le condizioni sono diverse. Caltanissetta, il suo Consorzio hanno fatto la scelta di aderire alla formazione di uno specifico network con l’Ateneo di Palermo che si è impegnato, anche nel nuovo Statuto, a dare vita ad un vero Ateneo articolato sul territorio: Palermo ma anche Agrigento, Caltanissetta, Trapani nell’intento di valorizzare, nelle aree decentrate, specifiche competenze.
Caltanissetta, muovendo dalla centralità territoriale, tende a porre al centro delle sue iniziative universitarie il filone sanitario, forte della presenza da più lustri di un corso di laurea in Medicina che, oggi, ha la sua autonomia e qualificazione. È vero che, in particolare nei primi anni, sempre nell’indifferenza di tanti, qualcuno (del mondo accademico) ha usato il corso di Medicina per aggirare il numero chiuso. Oggi non è così, nonostante le pressioni e le volute maldicenze (sempre del solito qualcuno del mondo accademico). Dispiace, pertanto, che gli studenti dei corsi di Caltanissetta possano non avere riconosciuto il loro impegno, l’abnegazione negli studi in quanto si tratterebbe di corsi destinati ai soli fuori-corso ovvero di corsi finalizzati ad aggirare il numero chiuso. Sembrerebbe emergere una sorta di pregiudizio che spero possa essere superato dalla realtà delle cose. Si tratta, peraltro, di studenti che provengono anche da province limitrofe, a conferma della potenzialità attrattiva della presenza universitaria nell’area centro meridionale della Sicilia.
Nell’articolo, citando un giornalista locale, si fa riferimento al boom (di iscritti) di Relazioni pubbliche. Era una novità nell’offerta formativa nella realtà meridionale, si fece l’errore di volere un corso non a ‘numero chiuso’ e, soprattutto, l’Ateneo di Catania, proponente e referente, subito dopo l’attivazione, lo trasformò nei fatti in un corso generalista. Probabilmente, nell’enfatizzare il dato positivo dell’alto numero di iscritti del corso ai suoi albori, si commette ancora oggi l’errore di non rendersi conto che anche quel corso, alla luce di quanto accaduto, non rientrava in una attenta programmazione.
È evidente che la logica speculativa degli Atenei non ha saputo affrontare in positivo la politica del decentramento universitario. Ritengo che, in Sicilia, dove i tre antichi Atenei di Palermo, Catania e Messina, a fronte dell’incremento demografico, sono rimasti tali per secoli, il problema si dovesse affrontare e che occorresse una fattiva capacità di programmazione a livello regionale. Ma la risposta è stata del tutto carente, a partire da quella dell’Ateneo privato. Ce n’era bisogno? Non credo. Sarebbe stato auspicabile, anche nel dovuto rispetto alle risorse pubbliche, che si attivassero forme di effettiva sinergia e collaborazione e non di contrapposizione territoriale, magari nell’intento di svuotare l’esistente.
Sarà un caso ma a Caltanissetta la presenza di una struttura regionale – del tutto sottoutilizzata, come noto – destinata alla formazione sanitaria, non ha saputo/potuto soddisfare le aspettative della prospettiva universitaria. Ancora oggi è possibile ‘leggere’ la presenza di un vero e proprio campus universitario idoneo per attrarre, anche logisticamente, gli studenti. Quel campus virtuale è ancora lì, non pienamente utilizzato (a partire dagli spazi di ricezione alberghiera e sportivi); in uno spazio limitato, vi sono anche gli studenti di Medicina del secondo triennio, previo canone di locazione a carico del Consorzio: una totale anomalia, sempre nell’indifferenza di cui sopra.
A pochi chilometri di distanza, al contrario, si sono destinati a spazi universitari gli edifici realizzati per accogliere gli istituti di istruzione superiore. Alla faccia della programmazione originaria, di quella universitaria regionale e dell’integrazione territoriale.
Ha ragione, nel suo intervento, a rimarcare che la città puntasse ad avere una «sua» università: sono i limiti del provincialismo. Soprattutto, sono i limiti dell’ignavia di tanti che non hanno voluto o saputo, da classe dirigente potenziale, porsi il nodo del problema che non era quello di avere una università quanto di essere parte attiva di un sistema universitario regionale. Non credo, infatti, che sussista alcun limite strutturale ovvero funzionale a che una cittadina, antica capitale territoriale del centro Sicilia, possa svolgere positivamente delle funzioni di qualificazione e di crescita, anche nel settore della formazione qualificata. Sempre che non dispiaccia ai circonvicini e, soprattutto, che si dia realmente vita ad una incisiva programmazione regionale. Credo che su questa prospettiva potremo averLa al nostro fianco. Anche nell’impegno, che dovrà essere in particolare delle nuove generazioni, di una incisiva qualificazione della classe dirigente locale e regionale.
Claudio Torrisi
Vice Presidente del Consorzio Universitario di Caltanissetta
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