Gli investimenti per l’ università in una città di sessantamila abitanti
«U n risultato di straordinaria importanza che non consente distinguo, incertezze o sterili polemiche». Il comunicato ufficiale del Consorzio università di Caltanissetta del 18 gennaio 2008 era ultimativo: uffa, basta con le lagne e le denunce e le perplessità sull’ idea che la città con le sue 60 mila anime (la metà di Latina, Forlì o Giugliano, per capirci) dovesse avere una «sua» università! E giù una sbrodolata di frasi fatte («sinergia tra le istituzioni», «spazi idonei a soddisfare le esigenze vitali», «eccellenze da mettere a sistema»…) con un’ auto-sviolinata meravigliosa: «Numerosi esponenti delle istituzioni e della politica hanno speso il loro prestigio e le loro competenze per raggiungere il risultato e a loro deve andare la gratitudine degli studenti universitari». Pofferbacco! Finché, giorni fa, Il giornale di Sicilia (mica La Padania) ha pubblicato un pezzo di Stefano Gallo: «Il progetto università è svanito o quasi, in compenso la città può adesso vantare due strutture per accogliere gli studenti. Una, già ultimata da un anno, non può essere aperta perché non si sa a chi affidare la gestione; la seconda sarà pronta a fine anno o al più tardi all’ inizio del 2013. In tutto settanta stanze da destinare all’ ospitalità degli studenti che frequentano i pochissimi corsi che il consorzio universitario nisseno fra mille difficoltà è riuscito a salvare. La grande folla del 2002, quando era avviato il corso di laurea in Pubbliche relazioni con un boom di iscritti arrivati anche da Calabria e Campania, non c’ è più». Nella città nissena, una delle tante eccitate dalla vanagloria di avere una università, restano solo un paio di (ridotte) appendici di altri atenei, Medicina e Ingegneria elettrica, che servono solo agli studenti per aggirare le quote del numero chiuso e i residui di qualche altra cosa riservati ormai ai soli fuori-corso che vanno a esaurimento come i cappelli di una cappelleria fallita: finiti i cappelli, giù la saracinesca. «Il sogno è tramontato», denuncia il quotidiano locale, «ma adesso c’ è da riconsiderare il destino di due strutture, in due fra i più prestigiosi edifici cittadini…». E non si tratta del primo «errorino» del genere. Vent’ anni fa, infatti, dopo molte proteste e una marcia congiunta dell’ allora sindaco Giuseppe Mancuso e del vescovo Alfredo Garsia, fu inaugurata una mega struttura pensata nel 1967 come ospedale psichiatrico e poi riciclata nel Cefpas: Centro regionale formazione per l’ addestramento sanitario. Quattordici palazzine di due piani, un albergo per 500 posti, una sala convegni per 500 ospiti, un ristorante self service per 700 coperti, decine di aule, un laboratorio informativo, uno linguistico, una biblioteca, una palestra riabilitativa, un campo sportivo coperto per pallacanestro con tribune… Due decenni dopo, a leggere una lettera pubblica del progettista Giorgio Bongiorno è «un deserto nel deserto, ridotto a costoso giocattolo anche se ben conservato». L’ importante era mettere mattoni su mattoni…
Stella Gian Antonio
Pagina 51
(18 aprile 2012) – Corriere della Sera



