Salute

“Mussomeli, voglio giustizia per mia moglie”. Parla il marito di Barbara Carmisciano

Redazione

“Mussomeli, voglio giustizia per mia moglie”. Parla il marito di Barbara Carmisciano

Mar, 06/09/2011 - 13:14

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MUSSOMELI- Il dolore e disperazione, l’angoscia e il dramma, non solo non servono a placare l’ira funesta e la sete di giustizia di Salvatore Loggia, ma spingono l’uomo a lottare per una verità tanta attesa e finora mai ottenuta. Salvatore è il vedovo di Barbara Carmisciano, la donna scomparsa il 24 agosto e morta dopo ben otto lunghissimi mesi di coma, dopo un parto in ospedale il 31 dicembre scorso. Vincenzo, il bambino nato in quel triste quanto indimenticabile giorno di fine anno, è il frutto di un’attesa lunga ben diciassette anni. Doveva essere un anno meraviglioso per la famiglia Loggia quel 2010 dove, oltre a festeggiate le ricorrenze natalizie, si doveva brindare per l’arrivo di un dono di Dio, così straordinariamente voluto. Invece, dolore e disperazione hanno subito preso il posto di una gioia a quel punto a “ metà”, per una mamma che davvero non riusciva a svegliarsi da un’anestesia generale. Salvatore Loggia, alterna la disperazione per la morte della moglie ad una incolmabile voglia e volontà di conoscere i motivi che hanno portato Barbara a subire quel calvario inaspettato e lungo otto mesi: “Lo attendevamo da 17 anni– racconta Salvatore in lacrime– ricordo quando mi disse che era incinta. Non ci credeva. Ha ripetuto il test. Era raggiante. La donna più felice del mondo. Barbara Carmisciano affrontava la gestazione con quella gioia che l’ha sempre condizionata. “Era come un pesce, sanissima. Stava benissimo. Poi il 31 dicembre decidemmo di recarci a Mussomeli per un normale controllo. Non era previsto nessun parto per quel giorno. Ma i medici decisero diversamente, lo anticiparono di dodici giorni e fu questo che le segnò il destino. Hanno avuto troppa fretta”. Le ultime ore di Barbara “da sveglia” sembrano scolpite nella mente del marito. “Entrò in sala operatoria con le sue gambe. Dagli esami che fece nella stessa mattinata non si evinceva nessun motivo che giustificasse l’urgenza del parto. Chiesi spiegazioni e mi fu risposto che farlo quel giorno o nei giorni successivi sarebbe stato uguale. Verso le dieci iniziò l’intervento di parto cesareo. Da quel momento ho visto un viavai di medici, e nessuno sembrava disposto a fornirmi una spiegazione. Solo dopo ore mi è stato comunicato che il bimbo era nato ma che c’erano state delle complicazioni con l’anestesia. Dissero che soffriva di broncopolmonite, ma non era vero. Mia moglie stava benissimo. E’ stata quella fretta ad ucciderla. E pretendo di sapere il perché di questa impazienza”. Nel pomeriggio del 31 dicembre, Barbara Carmisciano, fu trasferita all’ospedale di Enna: “Lì mi dissero che fu l’anestesia a condannarla al coma ma anche che nel corso del travaglio il cervello di mia moglie restò privo di ossigeno per più di 15 minuti. Dopo qualche giorno riprese a respirare autonomamente. Rimase all’Umberto I per 95 giorni, quando capii che erano stati fatti dei grossi passi in avanti, accettai di trasferirla all’Unità di risveglio del Centro Neurolesi di Messina. Non ho mai perso la speranza, vedevo dei forti miglioramenti, quegli scatti, quei movimenti della testa e del collo; mi aggrappavo a quell’eventualità che prima o poi si sarebbe svegliata, poi purtroppo la situazione si è resa difficile a causa delle sue difese immunitarie sempre più basse. Il 9 giugno è stata colpita da una brutta infezione. Per via del fatto che il Centro neurolesi è sprovvisto di un’unità di Rianimazione, Barbara fu trasferita all’ospedale Papardo. Gli ultimi giorni sono stati terribili. Ha alternato giorni di miglioramento ad altri di grave peggioramento. Dopo una settimana era guarita dalla prima infezione, poi un altro attacco ne ha aggravato la condizione fisica. La febbre non l’ha più lasciata, fino a quel maledetto 24 agosto, quando Barbara non ce l’ha più fatta”. Salvatore Loggia come è logico pensare, adesso vive la sue esistenza sconvolta dal dolore. Una sofferenza mitigata dalla nascita di Vincenzo, che ama sopra ogni cosa. “Vado avanti per lui, è ciò che mi da forza, che mi spinge a continuare. Spero che l’inchiesta della Procura possa dare quelle risposte che rincorro da otto mesi. Mi appello alla giustizia della legge”.

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