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“Caso Ruby”, le perplessità di un lettore Nisseno

Redazione

“Caso Ruby”, le perplessità di un lettore Nisseno

Sab, 23/07/2011 - 13:22

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CALTANISSETTA – Ma non hanno qualcosa da perdere anche loro?

Mi sono chiesto, più di una volta, cosa possa spingere un avvocato o un pool di avvocati ad arrampicarsi sugli specchi quando l’evidenza dei fatti è tale da vanificare ogni cavillo giuridico. Mi sto riferendo al cosiddetto “caso Ruby” in cui, com’è noto, è coinvolto il Presidente del Consiglio. Sono convinto che i PM del Tribunale di Milano non siano degli sprovveduti e pertanto quando giungono ad una conclusione – quale che essa sia – hanno già studiato a fondo il caso. Peraltro, trattandosi di processi ad altissimo impatto mediatico, non possono permettersi di rimetterci la faccia. I difensori di Berlusconi, Ghedini e Longo, hanno sollevato sedici eccezioni, tutte respinte, tendenti a “svuotare” il processo o, in sub ordine, a trasferirne la competenza territoriale a Monza se non addirittura attribuirlo al Tribunale dei Ministri. Io, da cittadino qualsiasi, non ho alcuna difficoltà a capire, per es., che Berlusconi, quella sera, telefonò alla Questura di Milano non nella funzione bensì nella qualità di Presidente del Consiglio. Perché se avesse voluto far rilasciare la “nipote di Mubarak”, e se non avesse avuto nulla da nascondere, avrebbe attivato le procedure diplomatiche previste in questi casi. ( Il fatto che 314 deputati abbiano affermato, con il loro voto, che Ruby era la nipote di Mubarak, non ha alcuna importanza). Quindi, a mio avviso, non ci vuole molto a capire che non si tratta di un reato Ministeriale (troppo comodo) e quindi di competenza del Tribunale dei Ministri, ma di un reato di competenza del Tribunale ordinario. Non è il caso di parlare delle altre eccezioni ed arrivo alla conclusione: “alla fine della fiera”, quando tutto sarà finito, i difensori di Berlusconi, compreso l’avv. on. Paniz, che tanto si è speso in Parlamento ed in televisione, se la sentenza dovesse essere sfavorevole, come io credo, avendo lottato “contro i mulini a vento”, non resteranno con l’amaro in bocca? Non avranno perso una parte di quella credibilità e di quel prestigio sin lì conquistati? E riusciranno a guardare negli occhi le loro figlie – se ne hanno – pensando che un giorno potrebbe capitare a loro di imbattersi in vicende di questo genere? Una volta chiesi ad un avvocato, perché si difende un imputato se si sa che è colpevole. Mi rispose: “perché vengano riconosciuti all’imputato tutti i suoi diritti”. Non ci ho mai creduto.

Pasquale Trobia

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