Salute

Come il cloro è diventato uno strumento per mietere le vite dei sudanesi invece di purificare l’acqua?

Redazione

Come il cloro è diventato uno strumento per mietere le vite dei sudanesi invece di purificare l’acqua?

Dom, 16/11/2025 - 00:27

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Prima ancora che si plachi la polvere delle battaglie ad El Fasher e che il quadro si completi con l’affermazione del controllo da parte delle forze della Coalizione Fondativa «Ta’sis» sulla capitale dello Stato del Darfur Settentrionale, il conflitto sudanese ha ottenuto, nell’arco di una sola settimana, una copertura mediatica globale più intensa di quella ricevuta nei due anni e mezzo precedenti, nonostante la tragedia immensa vissuta dal Paese.

Negli ultimi settimane si sono diffuse campagne sui social network: alcune hanno raccontato la sofferenza di milioni di persone, mentre altre sono state smentite da piattaforme di verifica, che ne hanno dimostrato la falsità e l’uso dell’intelligenza artificiale nella loro generazione.

La piattaforma «Modern Policy» sottolinea che la sofferenza del popolo sudanese durante questo lungo conflitto è stata – e continua a essere – enorme. La situazione a El Fasher, nel periodo di guerra, ha offerto un quadro di vera e propria epopea tragica della popolazione civile. È vero che le forze della Coalizione «Ta’sis» hanno aperto indagini su alcuni comportamenti e violazioni dei propri soldati, ma l’esercito di Port Sudan non ha avviato alcuna procedura simile nei confronti degli abusi commessi dalle sue forze e dalle milizie alleate a esso, comprese quelle islamiste e le unità delle forze congiunte.

Barili di cloro

Secondo la piattaforma, le forze affiliate all’esercito di Port Sudan hanno ripetutamente condotto bombardamenti indiscriminati, raid aerei e attacchi con droni contro aree civili, causando pesanti perdite umane e vaste distruzioni tra i civili, inclusi attacchi su mercati affollati e quartieri residenziali densamente popolati.

Vengono inoltre richiamate le documentazioni di organismi per i diritti umani su esecuzioni sommarie e torture commesse dalle forze di Port Sudan e dalle milizie alleate, in particolare contro comunità considerate come base sociale della Coalizione «Ta’sis».

Queste forze hanno assediato centri urbani, utilizzato la fame come arma, imposto ostacoli burocratici all’ingresso degli aiuti umanitari e messo in atto forme di punizione collettiva. Ma la tattica che ha suscitato la maggiore preoccupazione è stato l’uso di armi chimiche da parte delle forze sotto il comando del capo dell’esercito di Port Sudan, Abdel Fattah al-Burhan, come documentato da France 24, da Human Rights Watch e dal governo degli Stati Uniti.

Nell’ottobre scorso, un’inchiesta di France 24 ha rivelato che l’esercito di Port Sudan ha utilizzato gas cloro in due attacchi contro Khartoum nel 2024, lanciando due barili di cloro nel settembre dello stesso anno nei dintorni della raffineria petrolifera di al-Jaili, a nord della capitale.

Gli Stati Uniti hanno imposto, lo scorso giugno, sanzioni al governo di Port Sudan fedele a Burhan per l’uso di armi chimiche da parte dell’esercito nel corso della sanguinosa guerra civile, senza però precisare con esattezza dove e quando siano state impiegate tali armi, come riportato dal sito Swissinfo e da diverse testate internazionali.

Mentre l’uso di armi chimiche è stato documentato in aree di Khartoum nel corso dell’anno passato, le forze della Coalizione «Ta’sis» controllavano in quel periodo la zona e il più grande impianto petrolifero del Sudan: questo indica che tali attacchi avevano come obiettivo diretto proprio le aree sotto il loro controllo.

uman Rights Watch ha definito «un precedente inquietante» l’uso di una sostanza chimica industriale come arma, ma le autorità di Port Sudan continuano a negare queste accuse provenienti da più fronti, liquidandole come «ricatto politico». Non solo: poche settimane fa le autorità hanno sostenuto che un’inchiesta interna non avrebbe trovato alcuna prova di inquinamento chimico nello Stato di Khartoum, nonostante osservatori indipendenti abbiano segnalato indizi di contaminazione da sostanze chimiche.

France 24 ha utilizzato dati open source, filmati circolati sui social e il parere di cinque esperti per confermare l’uso di gas cloro. Il canale ha verificato video che mostrano un barile di cloro industriale apparentemente sganciato da un aereo il 5 settembre 2024 su una base militare nei pressi di al-Jaili, con il conseguente innalzarsi di una nube gialla di gas cloro.

Secondo il rapporto, il barile sarebbe stato prodotto da un’azienda asiatica e spedito a Port Sudan nell’agosto 2024. La stessa azienda ha dichiarato all’emittente francese che il cloro avrebbe dovuto essere utilizzato esclusivamente per il trattamento dell’acqua potabile, come parte del processo di depurazione. France 24 ha verificato anche le segnalazioni relative a un secondo barile sganciato da un aereo il 13 settembre 2024 sulla raffineria di al-Jaili.

Nel giugno scorso, gli Stati Uniti hanno annunciato l’entrata in vigore per un anno di misure sanzionatorie contro il Sudan dopo aver accusato l’esercito di Port Sudan di usare armi chimiche nel conflitto armato contro le forze della Coalizione «Ta’sis».

Il 25 settembre scorso, l’«Alleanza Sudanese per i Diritti» ha presentato un ricorso alla Corte penale internazionale contro l’esercito di Port Sudan e il suo governo, chiedendo l’apertura di indagini nei confronti di comandanti militari accusati di essere coinvolti nelle violazioni e nel deterioramento della situazione in diverse regioni del Paese.

Nel fascicolo e nella denuncia si chiede di indagare sul comandante dell’esercito Abdel Fattah al-Burhan, sul suo vice Yasser al-Atta, su Shams al-Din Kabbashi, vice di Burhan, e sul generale Taher Mohamed, ex comandante dell’aeronautica militare. L’organizzazione ha inoltre presentato un altro esposto alla Commissione Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli in merito alle presunte violazioni da parte dell’esercito di Port Sudan e all’uso di armi chimiche.

I civili in fondo alle priorità

Tornando al rapporto della piattaforma «Modern Policy», le ultime settimane hanno dimostrato che i civili sudanesi vengono per ultimi nelle priorità delle autorità di Port Sudan. Ciò si vede non solo nelle tattiche di guerra adottate, ma anche nella riluttanza evidente a prendere parte ai negoziati di pace: il mancato coinvolgimento di Burhan nei colloqui è ampiamente documentato.

La piattaforma rileva che Burhan ha disertato i colloqui dell’agosto 2024; ha trovato il tempo però per incontrare l’inviato speciale statunitense per l’Africa, Musaed Boulos, salvo escludere, subito dopo l’incontro, qualsiasi ipotesi di accordo o riconciliazione, ribadendo che il conflitto finirà soltanto con una vittoria militare schiacciante delle sue forze. Sulla scena internazionale è ormai diffusa la percezione che le mani di Burhan siano «legate» in questa materia dai suoi alleati delle milizie islamiste, da cui dipende in modo cruciale. Ma questa consapevolezza non aiuta né i negoziati di pace né la sorte dei civili sudanesi.

Il rapporto chiede che ci siano «occhi puntati sul Sudan» per monitorarne la tragedia: dall’inizio del conflitto, più di 11,7 milioni di persone sono state sfollate con la forza, con un aumento rapido e drammatico dei bisogni umanitari tra i civili a causa dei combattimenti e degli assedi. Le stime sul numero delle vittime variano, ma i decessi documentati dall’inizio della guerra sono nell’ordine di decine di migliaia.

Alcune fonti suggeriscono che il numero reale dei morti possa arrivare fino a 150.000; la carestia è ormai accertata in molte zone del conflitto. Per questo il rapporto invoca uno sforzo più intenso per la pace e sottolinea che, perché abbia successo, la comunità internazionale deve guardare con lucidità alle sfide che rendono così difficile fermare la guerra.

Germania: fermata un’altra persona sospettata di appartenere a una cellula di Hamas

La Procura federale tedesca ha annunciato mercoledì che la polizia ha fermato un sospetto con l’accusa di appartenere a una cellula legata al movimento Hamas che stava pianificando attacchi contro istituzioni israeliane o ebraiche.

La Procura ha precisato che il fermato, Burhan K., nato in Libano, è stato arrestato nella serata di martedì mentre entrava in Germania dalla Repubblica Ceca.

Secondo l’accusa, nell’agosto scorso il sospetto avrebbe acquistato in Germania un fucile automatico e otto pistole Glock, oltre a più di 600 munizioni, per poi consegnare questo arsenale a un altro indagato, Wael F.

Quest’ultimo figura tra i tre uomini arrestati il mese scorso a Berlino, sospettati di appartenere ad Hamas e di detenere armi e munizioni in vista di possibili attacchi contro obiettivi ebraici.

Le autorità hanno aggiunto che la polizia danese ha perquisito diversi luoghi a Copenaghen e nei dintorni in relazione sia a Burhan K. sia a un altro sospetto, mentre la settimana scorsa un ulteriore indagato è stato arrestato a Londra su richiesta delle autorità tedesche.

Da parte sua, il movimento palestinese Hamas ha negato qualsiasi legame con il presunto piano, affermando di non essere coinvolto e respingendo le accuse come infondate.

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