Due decessi in appena 48 ore, seguiti all’utilizzo del Taser, hanno acceso con forza il dibattito nazionale su una delle armi più discusse degli ultimi anni. Entrata in dotazione alle forze dell’ordine italiane nel 2022, la pistola a impulsi elettrici è al centro di un confronto che si gioca non solo sul piano operativo e tecnico, ma anche su quello politico ed etico.
A rilanciare le polemiche è stato Enrico Rossi, esponente del Partito Democratico, che in un post sui social ha parlato di «cinque o sei morti già collegati al Taser», invitando la politica a non ignorare la sequenza ravvicinata di due decessi in agosto. Rossi, richiamando studi medici e i rapporti di associazioni come Amnesty International, ha sollevato dubbi sulla pericolosità dello strumento, arrivando a definire «eticamente inaccettabile» il rischio di perdere una vita umana «solo per immobilizzare una persona».
Parole che hanno suscitato una risposta netta e dettagliata da parte di Emanuele Ricifari, dirigente generale della Polizia di Stato e presidente dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia, già questore di Caltanissetta. La sua replica, maturata da un bagaglio di 37 anni di esperienza sul campo, si configura come una riflessione di alto profilo istituzionale, capace di spostare il baricentro del dibattito oltre la contrapposizione politica.
«Mi spiace – ha scritto Ricifari – che da un politico e da una persona di cultura si esprimano giudizi senza argomenti o senza fondamento reale». Da qui, la scelta di argomentare punto per punto.
Secondo Ricifari, gli operatori delle forze dell’ordine non solo sono formati alle manovre salvavita, ma continuano ad aggiornarsi con corsi annuali di primo soccorso. Inoltre, le pattuglie dispongono di defibrillatori, sebbene in molti casi, come quelli più recenti, l’uso di questi strumenti non avrebbe potuto cambiare l’esito perché legato a gravi condizioni pregresse delle vittime, spesso aggravate dall’abuso di alcol o sostanze.
«L’aspetto etico – osserva Ricifari – non riguarda solo chi subisce il Taser, ma anche i cittadini e gli stessi operatori che quotidianamente affrontano soggetti violenti, talvolta armati, che non rispondono nemmeno alle intimazioni della polizia. È come se la vita di un poliziotto valesse meno, come se fosse un lavoratore di serie B».
Il dirigente contesta inoltre l’idea, definita «falsa e fuorviante», che il Taser di per sé provochi arresti cardiaci: «Anche una colluttazione fisica, un forte stress, un bagno in acqua fredda possono causare un arresto circolatorio, soprattutto in persone già fragili. Ma nessuno pensa di bandire le colluttazioni o l’acqua fredda».
Soprattutto, Ricifari sottolinea il ruolo del Taser come strumento alternativo all’arma da fuoco: «Ogni giorno viene utilizzato decine di volte, evitando che la gestione di una persona violenta sfoci nell’uso della pistola d’ordinanza. I casi tragici, pur dolorosi, sono numericamente marginali e non imputabili a una cattiva condotta degli agenti».
La sua riflessione tocca anche un aspetto di coerenza normativa: «È paradossale – ha aggiunto – che il Taser, in versione da storditore, sia liberamente acquistabile dai cittadini comuni, senza alcuna formazione, mentre si contesti l’utilizzo da parte di poliziotti e carabinieri, che invece sono addestrati e sottoposti a controlli continui».
Il confronto a distanza tra Rossi e Ricifari restituisce due visioni opposte. Da una parte, il timore che l’uso di strumenti coercitivi possa degenerare, dall’altra la convinzione, sorretta dall’esperienza e dalla responsabilità istituzionale, che il Taser sia un presidio indispensabile per la sicurezza pubblica e, in ultima istanza, per la salvaguardia delle stesse vite umane.
Le due morti di agosto restano un fatto tragico che impone attenzione, ma le parole del dirigente generale della Polizia di Stato contribuiscono a riportare il dibattito su un piano concreto: quello della complessità operativa di chi è chiamato, ogni giorno, a garantire la sicurezza collettiva.

