Salute

Storie vere di bambini nati o cresciuti nella giungla

Francesca Russo

Storie vere di bambini nati o cresciuti nella giungla

Ven, 07/04/2017 - 08:39

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Sembra assurdo eppure è ciò che è accaduto ad alcuni bambini, in diversi parti del mondo, naturalmente si tratta di casi isolati ma vale la pena conoscerli per la loro straordinaria unicità.
Abbandonati o persi nella giungla, destinati a una fine di stenti per fame, freddo o a diventare vittime di predatori, eppure questi bambini sono scampati alla morte e ritrovati dopo anni, nudi, con gli occhi assenti, incapaci di camminare eretti e di parlare, adattati a muoversi velocemente a quattro zampe o ad arrampicarsi sugli alberi. Sono i ragazzi selvaggi, poco meno di 100 casi registrati nella letteratura e nelle cronache degli ultimi secoli.
Alcuni di questi casi sono stati documentati da delle foto che hanno dello straordinario; in particolare “Feral Children” è l’ultimo progetto della fotografa londinese di origine tedesca Julia Fullerton-Batten che offrono uno sguardo oscuro al fenomeno della crescita di un essere umano in circostanze insolite.
“Il libro La Bambina Senza Nome mi ha ispirato a cercare altri casi di bambini selvaggi”, ha detto Fullerton-Batten. “Ho scoperto così che c’è stato un certo numero di queste storie incredibili. In alcuni casi si è trattato di bambini smarriti e adottati da animali selvatici, molti sono stati trascurati dai loro genitori. Esistono casi documentati su quattro dei cinque continenti”.
Ma come hanno fatto questi bambini a sopravvivere in condizioni così dure?
Secondo gli studi di Konrad Lorenz, il padre dell’etologia, sulle caratteristiche infantili nelle specie di mammiferi, indicano che essere paffutelli, con testa grande e rotonda, muoversi in modo goffo, sono caratteri che inibiscono l’aggressività e innescano istinti protettivi anche nei confronti di cuccioli di altri. Dopotutto i bambini, cioè i cuccioli di uomo, non sono troppo diversi da quelli delle scimmie e come gli altri animali possono anche subire un imprinting da parte della specie che li ha adottati, finendo per assomigliare ai nuovi “genitori”. Per questo nella letteratura si parla di bambini lupo, bambini orso, bambini gazzella o bambini scimmia.
La teoria dell’imprinting, che procurò il premio Nobel a Konrad Lorenz, sostiene infatti che un giovane essere vivente impara a riconoscersi in una specie piuttosto che in un’altra a partire dal legame con una figura di riferimento (la chioccia per i pulcini, la lupa per il lupacchiotti, eccetera). 
Il primo caso registrato di ragazzo selvaggio risale al 1344, un episodio divulgato dal grande naturalista Carlo Linneo e poi ripreso dal filosofo francese Jean Jaques Rousseau: alcuni cacciatori ritrovarono fra i lupi un bambino selvaggio di circa 10 anni e lo portarono al principe d’Assia. Ma il caso che fece più clamore risale al 1798, quando fu catturato nei boschi francesi dell’Aveyron un ragazzino selvaggio di 12 anni: completamente nudo, mordeva e graffiava e, chiuso in una stanza, andava avanti e indietro come un animale in gabbia. Affidato a una vedova e poi a un naturalista, per ordine del ministero dell’Interno fu portato a Parigi e rinchiuso nell’Istituto per sordomuti, dove venne prelevato dal medico Jean Itard che ne tentò il recupero comportamentale e linguistico. Egli segnò su un diario tutti i progressi fatti dal ragazzo nel corso di 5 anni.
Progressi limitati, però: Victor imparò abbastanza presto a comunicare con una sorta di pantomime (per esempio, se voleva uscire portava il cappotto e il cappello al suo tutore), ma non riuscì mai a parlare. Cominciò a scrivere diverse parole, verbi e aggettivi (gli fu insegnato prima ad accoppiare oggetti ai disegni che li mostravano, poi parole scritte ai disegni), ma mai imparò a usare i termini in modo astratto, cioè applicando le parole in un discorso in assenza degli oggetti o delle emozioni a cui si riferirivano.
Un caso più recente si è verificato in Russia nel 2013 doveuna bimba di nome Madina ha vissuto con i cani dalla nascita fino all’età di 3 anni, condividendo con loro il cibo, giocando con loro, e dormendo con loro durante il freddo inverno. Quando gli assistenti sociali la trovarono nel 2013, era nuda, camminava a quattro zampe e ringhiava come un cane.
Il padre di Madina se ne era andato poco dopo la sua nascita. Sua madre, di 23 anni, si era data all’alcol. Era spesso troppo ubriaca per prendersi cura di sua figlia e spesso spariva. Invitava spesso a casa alcolisti locali. Sua madre alcolizzata si sedeva a tavola per mangiare mentre la figlia rosicchiava le ossa sul pavimento con i cani. Quando sua madre si arrabbiava, Madina scappava in un parco giochi vicino, ma gli altri bambini non giocavano con lei perché poteva a malapena a parlare e litigava con tutti. Così i cani sono diventati suoi unici e migliori amici.
I medici hanno riferito che Madina è mentalmente e fisicamente sana nonostante il suo calvario. C’è una buona probabilità che avrà una vita normale, dopo che avrà imparato a parlare in maniera simile ad un bambino della sua età.
Insomma alcuni questi di casi stradivari che hanno avere un lieto fine ma purtroppo lo stesso non si può dire di altri bambini con cui in questo caso la natura non è stata altrettanto generosa.

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