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Agricoltura siciliana, tra propaganda e disastro

Redazione

Agricoltura siciliana, tra propaganda e disastro

Mer, 04/01/2017 - 17:16

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Partiamo da una scena ben precisa. Un bel sabato – era il 20 di febbraio 2016 – dal palco del teatro Politeama di Palermo, brindavano all’agricoltura siciliana il Ministro alle politiche agricole Maurizio Martina, il presidente della Regione Siciliana Rosario Crocetta e l’assessore Antonello Cracolici. Un bel brindisi di succo d’arancia dinanzi una platea gremita di agricoltori che con le mani crepate dalla terra e dalla fatica, agitavano (senza molta convinzione) bandierine gialle e verdi. É il popolo degli agricoltori, portati in teatro a fare la clacque con i pullman provenienti da mezza isola dalle associazioni di categoria per applaudire alle mirabolanti dotazioni del Piano di Sviluppo Rurale (PSR) proposto da quel palco come la manna dal cielo per l’agricoltura siciliana. Passano poche settimane – è il 10 marzo – ed è ancora una associazione di categoria degli agricoltori, quella delle bandierine gialle e verdi, ad organizzare una manifestazione con i trattori a Catania per difendere il made in Italy. Qualcosa non torna. O forse si? È il bluff dell’agricoltura in Sicilia, tra propaganda e disastro, tra promesse e comparto in ginocchio, tra fondi europei mai spesi e tour propagandistico della politica in pieno stile anni ’70 in giro per la Sicilia per presentare il PSR. Sempre il 10 Marzo, stavolta a Caltanissetta l’assessore regionale Cracolici diceva: “La programmazione comunitaria non venga più concepita come una sorta di “bancomat” ma assolva al suo ruolo di promotore di sviluppo economico e sociale”. Tutto rose e fiori per il dirigente regionale dell’assessorato Gaetano Cimò, che ha sottolineato come nell’ambito della Programmazione delle risorse FEARS alla Regione sono stati assegnati 1.338.712.000 euro alle quali si aggiunge una quota nazionale (Stato + Regione) pari al 39,5% per un ammontare totale di 2.212.747.000,00 euro con un incremento di oltre 27 milioni di euro rispetto alla dotazione iniziale del PSR Sicilia 2007-2013. Tale dato – ha sottolineava Cimò – conferma il PSR Sicilia 2014-2010 come il Programma più consistente finanziariamente a livello nazionale e la Sicilia tra le prime regioni europee nelle quali si concentra l’intervento comunitario”. Ma è davvero così? All’indomani della chiusura del tormentato periodo di spesa dei Fondi europei 2007- 2013, la Sicilia si ritrova problemi su vari fronti. Innanzitutto problemi di “quantità di spesa”, che si prospetta non sufficiente ad assorbire tutte le risorse che inizialmente erano a disposizione, nonostante (attraverso il Piano Azione Coesione) tali risorse fossero state ridotte per incapacità di spesa dell’Amministrazione. In particolare è il FESR ad aver sofferto un disperato tentativo di spesa negli ultimi mesi del 2015 grazie al recupero dal cassetto i cosiddetti “progetti retrospettivi”. Problemi si verificheranno anche nell’ambito del PSR, laddove alcune misure, come per esempio quella che finanziava l’agricoltura biologica, hanno avuto uno stop improvviso per sciattezza amministrativa decretato dal TAR che probabilmente ne comprometterà il buon esito. Proprio in questi giorni la conferma di un nuovo spostamento in avanti addirittura ad aprile 2017. Stessa cosa potrebbe valere per il PO FSE, che ha già subito, a distanza di anni, un clamoroso taglio di risorse per il periodo 2000-2006, nel quale l’Amministrazione aveva infarcito il programma di progetti “coerenti”, cioè già realizzati e da rendicontare con i fondi UE, ma che poi coerenti non erano risultati poi così tanto alla Commissione, la quale ha tagliato ben 360 milioni di euro per “gravi carenze nei sistemi di gestione e di controllo del programma operativo” e “irregolarità sistemiche”. In secondo luogo, oltre alla quantità, ci sarà un problema di qualità. L’assoluta lentezza nell’attuazione inciderà in modo decisivo sulla qualità degli investimenti, a detrimento dei risultati, per via dell’ossessione della “spesa a tutti i costi”, stimolata da un quadro normativo che sanziona provocando la perdita irrevocabile e automatica di risorse (il disimpegno automatico). Un danno enorme per un’Amministrazione. Per tale ragione, centro di gravità dell’intero Programma è diventata la necessità di “fare spesa”, che ha assorbito quasi del tutto gli sforzi e i timori dell’Amministrazione siciliana, comportando spesso il finanziamento di progetti di discutibile utilità (come i “grandi eventi” del settore turistico) o uniformità rispetto alle priorità fissate. Bisognerà attendere la chiusura definitiva la posticipazione dell’impatto degli investimenti dovuto all’uso spregiudicato dei “progetti coerenti”, che in passato hanno costituito più di un terzo della spesa totale e rappresentato un espediente esclusivamente contabile che svilisce le potenzialità di nuova progettualità finanziabile dai Fondi. Le risorse europee infatti non dovrebbero sostituire i fondi nazionali, ma amplificarne l’effetto. Cosa che invece non è accaduta. La Sicilia è stata strozzata dall’esistenza di un mix complesso e micidiale, che ha letteralmente paralizzato la spesa dei Fondi. Insieme di fattori finanziari, politici e amministrativi che ha avuto eguali forse solo in Campania. I vincoli del Patto di Stabilità, gli effetti della crisi finanziaria sul bilancio delle amministrazione e sulla propensione delle imprese a investire hanno rallentato la macchina. Ma credere che il ritardo siciliano sia dovuto esclusivamente ai vincoli del Patto, come spesso viene argomentato, è fuorviante. Il cuore del ritardo siciliano giace altrove, ovvero (manco a dirlo) nella dimensione politica e amministrativa. Per quanto attiene il nisseno, le falle del sistema regionale stanno anche lì, nella difficile tracciabilità dei fondi europei provincia per provincia ad esclusione dei Gal tra i quali il Terre del Nisseno il cui importo della misura 413 è di oltre 5 milioni e rotti di euro ma che ha rendicontato spese per poco più di 3 milioni di euro. Ma sti benedetti finanziamenti europei, aiutano realmente i piccoli e giovani imprenditori? La cruda realtà è che i finanziamenti non vengono concessi a chi davvero è impiegato nel settore, poveri cristi che coltivano la terra ma il meccanismo è studiato per favorire sempre i più grandi, i potenti, mai i piccoli. I contributi Agea (l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura) vengono erogati in base all’estensione di terra, agli ettari così, è scattato l’accaparramento, anche illecito da parte della mafia per acquisire terre, anche all’insaputa dei proprietari. Insomma un vero disastro politico. Gli agricoltori inoltre non chiedono finanziamenti, ma regole certe per stare sul mercato, mercato oggi drogato da trattati di libero scambio che ammazzano i nostri produttori senza clausole di salvaguardia, consentendo l’ingresso di prodotti extra Ue, senza tracciabilità e con controlli inesistenti. “Quelle regole però ce le impone Bruxelles” dicono i politici nostrani. Peccato che a Bruxelles, l’Italia c’è eccome, avendo ben 73 europarlamentari ed un Alto Commissario. Evidentemente sono proprio i politici italiani che a Bruxelles stanno svendendo gli interessi dei nostri agricoltori. Magari anche la stampa italiana potrebbe raccontare le cose per come stanno (una volta tanto…).

Tratto dal mensile “il Fatto Nisseno” di dicembre 2016

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