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Giovane storico scopre l’origine del nome Mussomeli

Redazione

Giovane storico scopre l’origine del nome Mussomeli

Mar, 16/09/2014 - 16:22

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Ognibene MicheleMUSSOMELI – Macché latino “Mons mellis” o arabo “Menzil Malek”, l’origine del toponimo Mussomeli deriverebbe dal nome di un califfo fatimida, tale Al-Mus’Tansir, che regnò dal 427 al 487. A formulare questa nuova ipotesi, e che metterebbe in discussione tutti gli studi passati, un giovane storico, Michele Ognibene. La sua tesi, concepita a conclusione di anni di ricerca, sarebbe confermata dalla scoperta fatta da un pastore agli inizi degli anni ’20 non molto distante dal Castello Manfredonico, di un contenitore di terracotta con dentro circa 125 monete auree arabe, meglio note come dinar, alcune delle quali si trovano ora custodite al Museo “Orsi” di Siracusa. “Si tratta perlopiù – spiega Ognibene- di quarti di dinar recanti il nome del califfo Al-Mus’Tansir. Se potessimo essere certi che il gruzzolo è giunto a noi nella sua interezza, sarebbe verosimile legarne il seppellimento e la perdita a qualche violento episodio verificatosi tra la caduta di Palermo (1071-1072) e quella di Agrigento (1087)”. Ma che legame esiste tra il rinvenimento delle monete ed il toponimo della città? “Risulta straordinaria la scoperta del piccolo tesoro ì di Al-Mustansir il cui patronimico (che indica la discendenza paterna del nome, ndr) potrebbe rimandare alle origini del toponimo attuale di Mussomeli: quindi, avremmo un “Muss” seguito da “Meli” (quest’ultimo infatti, è un termine bizantino, riadattato dall’arabo in menzil- minzil), ovvero i casali di Al- Mus’Tansir. Meli o Melìa sono inoltre molto ricorrenti nei toponimi della Sicilia orientale, cioè in quella regione territoriale dove sono perdurate più a lungo le testimonianze relative al mondo greco- bizantino”. Per lo studioso comunque, l’origine araba è certa ed è confermata da una presenza di popolazioni provenienti dalla penisola mediorientale. “Nel nostro territorio dovevano essere ben presenti forme d’insediamento rifacentesi al sistema Ippomadeo, cioè ad un impianto ortogonale che prevedeva la realizzazione di tre assi longitudinali intersecati da assi perpendicolari, e che formavano una struttura a griglia, con le strade che intersecandosi delimitavano isolati residenziali di forma quadrangolare. Gli attuali nodi d’intersezione dei quartieri storici, tutt’oggi non sfuggono ad un occhio attento”. Per la sua ricerca, Michele Ognibene intende ringraziare Pietro Corrao, ordinario di Storia medievale all’Università di Palermo, l’archeologo Gianluca Calà e Stefania Santangelo della Soprintendenza nissena.

IL TESORO DI MUSSOMELI E LE ORIGINI DEL SUO TOPONIMO.

Le poche fonti e testimonianze relative alla dominazione islamica in Sicilia, furono studiate e raccolte da Michele Amari durante il suo esilio parigino a partire dai primi anni’40 del XIX sec. Egli, intraprese il non facile studio della lingua araba, sotto la guida del grande arabista Joseph Toussaint Reinaud e,  in funzione dell’approccio diretto alle fonti bizantine, lo stesso si diede anche allo studio del greco sotto la supervisione di Carl-Bénédict Hase. Considerato il fondatore della moderna organizzazione degli studi orientali in Italia, l’islamista siciliano compì una grande opera di collazione e interpretazione critica delle fonti culminata con l’edizione della Storia dei Musulmani di Sicilia (2a ed. a cura di C. A. Nallino, 3 voll., Catania 1933-39 – precedentemente edita dall’Amari in due volumi nel 1854-58). Buona parte degli studi amariani, si leggono in traduzione italiana in Biblioteca Arabo-Sicula (2 voll., Torino-Roma, 1880-81; 2a Appendice, Torino 1889). Continuatore dell’opera, fu Umberto Rizzitano il quale, in Nuove fonti arabe per la storia dei Musulmani di Sicilia (1957), pubblicò fonti inedite sfuggite o scoperte dopo la scomparsa dell’Amari. Significativi in tal senso sono gli studi sul lessico arabo di Sicilia, sugli antroponimi e sulla toponomastica arabo-greca filologicamente studiati da Adalgisa de Simone. Al tradizionale filone di ricerche storico-documentarie e filologiche, da qualche tempo a questa parte si è avuto il sistematico contributo dell’Archeologia medievale; dagli scavi e dalle ricognizioni archeologiche effettuati negli ultimi anni infatti, sono emersi dati piuttosto interessanti circa la continuità bizantino-araba e arabo-normanna. Questa breve introduzione serve per ricollegarmi alla ormai plurimillenaria storia del territorio di Mussomeli nel cui ampio contesto è accertata la numerosa presenza di toponimi di chiara derivazione araba (più esattamente berbera, come ampiamente riportato da Giuseppe Sorge nella sua Storia edita in due volumi, rispettivamente nel 1910 e nel 1914) i quali, tuttavia, ad oggi non sono stati censiti al fine di poter essere meglio studiati. Proprio in una delle tante contrade che costellano il territorio diffuso, più precisamente nelle vicinanze delle pendici orientali del Castello nei primi anni ’20 del secolo scorso, un pastore ritrovò fortuitamente in un contenitore di terracotta, circa 125 monete auree arabe, meglio note come dīnār che, in piccole partite, parecchi possidenti  si premurarono ad acquistare e, solo grazie all’intermediazione di un sottufficiale dei Carabinieri, l’allora Regia Soprintendenza delle Belle Arti di Palermo, venuta a conoscenza dell’accaduto cercò di recuperarle tutte, tanto che oggi sono custodite presso il Museo archeologico regionale “Paolo Orsi” di Siracusa.

Rimaste fino ad oggi inedite, tali monete sono oggetto di studio da parte della dott.sa Stefania Santangelo. Purtroppo, i registri del museo non forniscono nessun altra indicazione del ripostiglio oltre quella di essere stato “rinvenuto a Mussomeli e dopo lunghissime pratiche, ritirato il 19/III/1928 dalla Regia Soprintendenza dell’Arte Medievale di Palermo”. Si tratta per lo più di quarti di dīnār (ruba’ ī), recanti il nome del califfo fatimida Al-MusTansir  che regnò dal 427 dell’Egira (1035) al 487 Eg. (1094). Il termine Egira, deriva dall’arabo hijra con il quale viene indicata l’emigrazione, o più propriamente una “rottura dei vincoli tribali”, verificatasi nel 622 – primo anno del computo dell’era musulmana – all’or quando i primi musulmani guidati dal profeta Maometto, si trasferirono dalla Mecca alla città-oasi di Yathrib, poi rinominata Medina (Madīnat al-Nabī, o La Città del Profeta).

Per quel che concerne la cronologia, in base alle indicazioni contenute nel registro d’ingresso del museo, le monete recherebbero date di emissione comprese fra il 428 Eg./1036 ed il 464 Eg./1068. I rimanenti tarì, offrono una buona selezione del repertorio monetale. Sono presenti, oltre i primi tipi emessi ancora a nome del predecessore Al-Zahir (ruba’ ī di Al-Mustansir a nome di Al-Zahir, Palermo, 429 Eg.-1037), quelli con tre cerchi concentrici di scrittura o con legenda disposta in  tre-quattro righe (ruba’ ī di Al-Mustansir, Al-Manşùrìyyah, 433 Eg. -1041; PA 437 Eg.-1045) e,  infine, quelli considerati i più caratteristici della Zecca Fatimide di Sicilia, ovvero con il tipo stellato o ad esagramma. Questi ultimi presenti in gran numero (ca. 35) appaiono stilisticamente più complessi e sono caratterizzati, nelle due facce, da una stella o ruota di carro ottenuta dall’intersezione di sei linee di scrittura (ruba’ ī di Al-Mustansir, PA, 447 Eg.-1055). Quasi tutti gli esemplari sono in discreto o buono stato di conservazione, solo una è tagliata a metà. Laddove il nome della zecca è leggibile, prevalgono ruba’ ī battuti a Palermo designata con il nome di Ṣiqilliyya, seguiti da un gruppo consistente di pezzi provenienti dalla zecca tunisina di Al-Manşùrìyyah, la cui presenza nel ripostiglio dimostra quanto stretti fossero i legami monetari  tra l’Isola e l’Africa Settentrionale in questo periodo. Se la lettura del 464 dell’Egira per alcune monete venisse confermata e se potessimo essere certi che il gruzzolo è giunto a noi nella sua interezza, sarebbe verosimile legarne il seppellimento e la perdita a qualche violento episodio verificatosi tra la  caduta di Palermo (1071-72) e quella di Agrigento (1087). Significative a questo proposito appaiono cinque ruba’ ī anonimi con legende disposte in due-tre righe orizzontali caratterizzate da una grafia rozza e spesso confusa: è incerto il luogo di produzione, oltre che l’autorità, ma è ipotizzabile che si tratti di prodotti di zecche locali, non ufficiali, che ben si collocano nel clima di conflitti e nell’incertezza politica che caratterizzò l’ultimo trentennio della dominazione islamica in Sicilia. Come giustamente sottolineato dalla Santangelo, il ripostiglio di Mussomeli costituisce senza dubbio un rinvenimento eccezionale non solo per la storia della città e del territorio in cui fu rinvenuto, acquistando un valore straordinario quale documento utile all’ultima fase della monetazione islamica e della circolazione finanziaria in Sicilia durante la travagliata fase di transizione dalla dominazione musulmana a quella normanna.

La Sicilia infatti, da sempre stata cerniera tra occidente ed oriente  ̶  nonché tra nord e sud  ̶  per la sua posizione geografica privilegiata, a partire da una data convenzionale (827) inizia ad essere terra di frontiera anche per l’Islàm, tuttavia l’interesse degli Arabi per l’Isola risale  già alla seconda metà del VII secolo, ossia all’epoca della fondazione della potenza navale islamica, finalizzata a contrastare il dominio bizantino nel bacino del Mediterraneo; l’Impero d’Oriente, aveva già provveduto a rafforzarla militarmente mediante l’istituzione tematica. Con il termine théma (gr. ant. plur., thémata) infatti, si è soliti designare la riforma dell’assetto amministrativo e territoriale delle circoscrizioni imperiali bizantine che vennero create tra il VII e l’VIII secolo, specularmente corrispondente alle varie componenti etniche facenti parte delle turmae ovvero delle grandi unità che componevano l’esercito bizantino, ultimo erede delle legioni romane. Una frontiera (ar., thaghr) in cui il Jihād, ovvero Guerra santa di aggressione contro i non musulmani, sarebbe stato sempre desto perché la Sicilia, anche sotto la dominazione islamica, resterà zona inquieta di passaggio tra il dār al-Islām (ossia i territori posti sotto la giurisdizione politica, economica e amministrativa musulmana) e il dār al-Harb, (quei territori che, rimanevano estranei alla religione islamica ed alla comunità musulmana). La Sicilia ci appare dunque, almeno in alcune sue zone, come un territorio di patteggiamento, elemento osmotico che, per secoli, ha caratterizzato la capacità di segnare un rapporto di continuità-discontinuità tra i vari domini – dai bizantini ai normanni – lungo i secoli che vanno dal VI-VII all’ XI. Ed è proprio questo il quadro entro il quale va collocata la straordinaria scoperta, del piccolo tesoro di monete di Al-Mus‘ Tansir il cui toponimico (potrebbe ben rimandare a sua volta, alle origini del toponimo attuale di Mussomeli: quindi, avremmo un ‘-Muss’ – la pronuncia della ‘s’ consonante enfatica “raddoppiata”, che si ottiene portando la radice della lingua verso la faringe – seguito da ‘-meli’ (quest’ultimo infatti, è un termine bizantino, riattato dall’arabo in menzil-manzil) ovvero i Casali di Al- Mus‘ TansirMeli o Melìa, sono inoltre molto ricorrenti nei toponimi della Sicilia orientale, cioè in quella regione territoriale dove sono perdurate più a lungo le testimonianze relative al mondo greco-bizantino. Tansir invece, rimanderebbe ad una località della penisola arabica: “la spada di Tansir”; Al-Mus infatti, è un sostantivo che indica chiaramente un coltello dalla lunga lama e/o spada (si consideri la posizione strategica nella quale viene a cadere Mussomeli). Già il Sorge, fu il primo in questo senso ad avanzare diverse ipotesi sull’origine del nome della florida cittadina. La prima ipotesi, rifà alle Cronache di Cambridge (in Biblioteca arabo-sicula) nelle quali è citato il nome di Mesid-Balis località presso la quale nel 937 l’esercito dell’emiro Salem-ibn Reshid ebbe la meglio sui ribelli berberi dell’agrigentino.

Un’ultima considerazione, vedrebbe una possibile origine dal toponimo di Menzil-Mariah, o “Casale di Maria”.

Considerato il fatto che al termine arabo menzil, corrisponde la mansio tardo-romana, stazione di posta sita lungo una strada romana, gestita dal governo centrale e messa a disposizione di dignitari, ufficiali, o di chiunque viaggiasse (a vario titolo) per ragioni di stato, spesso, attorno alle mansiones sorsero campi militari permanenti che, il più delle volte, divennero vere e proprie città; del resto, il paese trovasi nei pressi o a non molta distanza dall’ antica arteria stradale Palermo-Agrigento. Conseguentemente, la perdita definitiva dell’Africa settentrionale bizantina e i più frequenti attacchi musulmani diretti verso le coste isolane, dovettero determinare una spinta verso l’incastellamento e la concentrazione dell’abitato già a partire dalla metà del VII secolo, fenomeno che si accentuò maggiormente in quello successivo.

Una testimonianza indiretta di questa precoce rivoluzione castrale, ed alcune delle sue caratteristiche, si ha dalle fonti arabe relative alla conquista. Già la semplice lista delle città pervenutaci tramite il geografo arabo al-Muqqadasi (c. 945/946-991) infatti, ci dimostra che la linea difensiva dei bizantini riprendeva i siti in località montane già naturalmente difesi e frequentati in alcuni casi quasi ininterrottamente almeno fin dall’VIII-VII secolo a.C. A tal proposito, le fonti arabe relative a questo periodo citano più volte gruppi di grotte adibite ad abitazioni (giran) o fortezze poste sulla sommità di un promontorio roccioso (hisn). E cos’era in realtà un Hisn, se non il corrispettivo arabo del termine Balium con il quale s’identificava una forma di insediamento fortificato?! Non molti anni fa, a tal proposito, durante alcuni lavori di ristrutturazione presso alcune case private poste nella parte sud della Terravecchia o Madrice mussomelese, furono messe in evidenza resti di mura e di un passaggio coperto, approssimativamente databili e riconducibili alla metà del XV sec. (1400), nonché come ho avuto modo di poter constatare personalmente, certe evidenze di pareti in roccia viva costituenti la parete di fondo di molte delle suddette abitazioni e, non è dunque affatto da escludersi che queste – come già argutamente fatto notare dal Sorge circa la costruzione ex novo da parte di Manfredi Chiaromonte, del centro fortificato – siano state realizzate su una preesistente unità muraria. In conclusione, come ho già avuto modo di evidenziare da circa un paio d’anni a questa parte, nel nostro territorio dovevano essere ben presenti oltre al Balium almeno tre-quattro forme d’insediamento aperto o diffuso, tutte comunque rifacentisi al sistema urbanistico dello schema “Ippodameo”, cioè ad un impianto ortogonale che prevedeva la realizzazione di tre assi longitudinali, orientati in direzione est-ovest, intersecati da assi perpendicolari, orientati in direzione nord-sud: l’intersezione di questi assi veniva a formare una struttura a griglia, con le strade che intersecandosi ad angolo retto, delimitavano ordinatamente isolati residenziali di forma quadrangolare, spesso adattati alla natura orografica dei luoghi e, culminanti in un’unica grande area centrale (l’Agorà delle antiche pòleis greche). I nodi d’intersezione tra le varie strade dei quartieri storici del paese, tutt’oggi non sfuggono affatto ad un occhio attento. Ulteriori indagini e ricerche potrebbero eventualmente svelare i rapporti tra Al-Mustansir, Mussomeli e Misilmeri: infatti, nel corso delle mie ricerche, ho avuto modo di imbattermi in molte fonti nelle quali, oltre alla latinizzazione di età moderna Mons Mellis che lascia alquanto a desiderare, sono citate le varianti Musumelis, Musumeli, Musulmeli, Mussumeris, nonché la citazione “prope Misimerium Agrigentinae Diocesis” e Misilmeri in voce dialettale, non è altrimenti nota come Musulmeli ?!

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