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Mafia, tassi d’interesse fino al 350%: per il gruppo “Piccanello” arresti anche a Caltanissetta

Redazione 3

Mafia, tassi d’interesse fino al 350%: per il gruppo “Piccanello” arresti anche a Caltanissetta

Gio, 18/01/2024 - 13:34

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 Denaro in prestito con tassi di interesse sino al 350%. Era l’usura una delle attività più redditizie del sodalizio criminale del gruppo mafioso ‘Piccanello’, storica branca della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano in quel rione di Catania, sgominato oggi dall’inchiesta della Dda di Catania che ha portato a 15 arresti tra le province di Catania, Caltanissetta, Arezzo, Napoli e Udine.

Quattordici persone in carcere, una agli arresti domiciliari, nove attività commerciali del settore edile di Catania sottoposte a sequestro finalizzato alla confisca, 81 tra fabbricati e terreni nelle province di Catania e Arezzo sequestrati insieme con cinque autovetture e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di oltre 12 milioni di euro. E’ il bilancio dell’operazione antimafia ‘Oleandro’ condotta dalla Guardia di finanza, su delega della Procura Distrettuale della Repubblica di Catania, nelle province di Catania, Caltanissetta, Arezzo, Napoli e Udine.

Gli indagati farebbero parte del ‘gruppo di Picanello’ del clan Santapaola-Ercolano. A capo ci sarebbero i ‘reggenti’ della cosca nel quartiere, Carmelo ‘Melo’ Salemi, di 65 anni, e Giuseppe Russo, di 48, detto ‘il giornalista’ o ‘l’elegante’ che avrebbero utilizzato una stalla per gli incontri con i loro sodali. Una delle attività più redditizie del sodalizio sarebbe stata l’erogazione di prestiti a tassi usurari, inseriti in un sistema più ampio di reinvestimento dei proventi rinvenienti dal traffico di sostanze stupefacenti, dalle estorsioni e dal gioco d’azzardo. Gli indagati avrebbero inoltre utilizzato metodi mafiosi per minacciare le vittime e garantirsi il pagamento delle rate di capitale e interessi.

Dalle evidenze investigative sarebbe emerso un meccanismo collaudato con finanziamenti di piccoli tagli, di norma da 500 a 2.500 euro, da rimborsare in rate settimanali o mensili con un tasso di interesse oscillante tra il 140% e il 350% su base annua. Uno dei protagonisti di queste attività, ricostruisce la Dda, sarebbe Nunzio Comis, 40 anni, figlio del boss Giovanni, arrestato dal Nucleo Pef della Guardia di finanza di Catania in flagranza di reato nel 2020 mentre riscuotere il pagamento di una rata di un prestito a usura da un imprenditore. Secondo l’accusa, il riciclaggio dei proventi illeciti sarebbe stato infine assicurato da Fabrizio Giovanni Papa, 58 anni, imprenditore attivo nel settore dell’edilizia, ritenuto particolarmente legato al gruppo di Picanello e a Carmelo Salemi. Secondo la Dda di Catania avrebbe messo a disposizione le proprie società per il riciclaggio di ingenti quantità di contanti provento delle attività criminali del clan, contribuendo a occultarne l’origine delittuosa, e per il successivo reimpiego in attività economiche o finanziarie, essenzialmente nell’edilizia, tramite le medesime imprese a lui riconducibili.  

Denaro in prestito con tassi di interesse sino al 350%. Era l’usura una delle attività più redditizie del sodalizio criminale del gruppo mafioso ‘Piccanello’, storica branca della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano in quel rione di Catania, sgominato oggi dall’inchiesta della Dda di Catania che ha portato a 15 arresti tra le province di Catania, Caltanissetta, Arezzo, Napoli e Udine.

L’erogazione di prestiti a tassi da usurai era inserita in un sistema più ampio di reinvestimento dei proventi rinvenienti dal traffico di sostanze stupefacenti, dalle estorsioni e dal gioco d’azzardo. Le indagini hanno portato alla luce un meccanismo collaudato con finanziamenti di piccolo tagli – da 500 a 2500 euro – da rimborsare in rate settimanali o mensili con un tasso di interesse tra il 140% e il 350% su base annua. Gli indagati avrebbero inoltre utilizzato metodi mafiosi per minacciare le vittime e garantirsi il pagamento delle rate di capitale e interessi.

Uno dei protagonisti di queste attività sarebbe stato Nunzio Comis, 40 anni, figlio del boss Giovanni. Comis avrebbe utilizzato un telefono aziendale intestato fittiziamente a un’altra persona, facendosi chiamare ‘Melo’ durante le conversazioni per evitare di essere facilmente identificato. Inoltre, sottolineano gli inquirenti, avrebbe utilizzato un noto bar di Picanello come “punto di incontro per la riscossione delle rate da parte degli indebitati”. Gli importi sarebbero stati consegnati a Lorenzo Antonio Panebianco, 23 anni, indagato e all’epoca impiegato del bar. 

Fonte: Ansa

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