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Donne di mafia, al comando ma solo come “supplenti” dell’uomo

Redazione 2

Donne di mafia, al comando ma solo come “supplenti” dell’uomo

AGI |
Sab, 07/08/2021 - 17:05

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“La donna siciliana comanda nel modo piu’ subdolo e piu’ negativo. Si’, io ritengo che molti mali della Sicilia siano imputabili a questo matriarcato.

La donna ha sempre consigliato la vilta’, la prudenza, l’opportunismo, l’interesse particolare, e l’uomo ha obbedito sempre”.

A Leonardo Sciascia queste parole, pronunciate in un’intervista concessa nel 1975 dallo scrittore siciliano nel 1974 a Franca Leosini per L’Espresso, costarono la scomunica del femminismo.

A distanza di 46 anni da quell’intervista, la lucidita’ dell’autore del ‘Giorno della civetta’ serve a descrivere oggi il ruolo delle ‘donne di mafia’, giunte, come Maria Licciardi, in un ruolo di vertice all’interno di Cosa Nostra, Ndrangheta o Camorra solo quando il marito o i fratelli finivano in carcere oppure ammazzati.

L’ultima, in ordine di tempo ma non di importanza, e’ Patrizia Messina Denaro, sorella di Matteo, il superlatitante accusato, tra l’altro, di aver messo a punto la stagione stragista dei primi anni Novanta. “Non faccio parte di Cosa nostra. Io pago per il cognome che porto, di cui sono orgogliosa. Da vent’anni non ho contatti con mio fratello Matteo”, disse quando la condannarono a 13 anni di reclusione. Non la pensavano cosi’ i giudici di Marsala, per i quali era lei a veicolare i messaggi dal carcere del marito Vincenzo Panicola. “A cavallo tra due incontri avvenuti con il marito-sodale – affermarono i pm – avrebbe incontrato il fratello latitante Matteo Messina Denaro per riferire il contenuto delle conversazioni”. La sorella del superlatitante, secondo gli inquirenti, aveva avuto dal marito il compito di farsi dire dal fratello se quest’ultimo avesse autorizzato un imprenditore a rilasciare dichiarazioni contro altri indagati. Patrizia Messina Denaro, secondo l’accusa, aveva “un ruolo funzionale” all’interno della famiglia mafiosa di Castelvetrano.

Non e’ considerata, dunque, una vera e propria “boss in gonnella” come Giusy Vitale, ultima di quattro fratelli e – secondo gli analisti del Viminale che ne hanno tracciato un profilo in una relazione su ‘Donne e criminalita” pubblicata lo scorso mese di giugno – “cresciuta per diventare una vera mafiosa”. E’ lei, quando i fratelli finiscono in carcere, a diventare il capo del mandamento di Partinico, nel palermitano, ed e’ lei a ordinare omicidi, estorsioni, coordinare il riciclaggio del denaro sporco, partecipa ai summit e “ha contatti con boss del calibro di Bernardo Provenzano, Matteo Messina Denaro e Giovanni Brusca”. La presa del potere, anche in questo caso, segnalano gli investigatori, e’ una “concessione”. Scaturisce, sottolineano gli investigatori, dalla detenzione dei fratelli o, come nel caso di Maria Filippa Messina, da quello del marito. Quest’ultima, infatti, e’ la prima donna a essere stata sottoposta al 41 bis, dal 4 novembre 1996 al 25 aprile del 1999. Il marito, Nino Cintorino, boss di Calatabiano, comune agricolo a circa 50 km da Catania, finisce in carcere nel 1992; lei dapprima opera da tramite tra lui e il mondo esterno e poi lo sostituisce alla testa della cosca, con il repertorio sanguinolento che deriva da un simile comando: omicidi, taglieggiamenti, regolamenti di conti. Appena prima di finire in manette aveva pianificato una strage per eliminare uomini dei clan rivali e ristabilire il predominio della cosca. Di lei la stampa dell’epoca parlo’ come di una nuova Pupetta Maresca, la moglie del camorrista Pasquale Simonetti.

Assunta “Pupetta” Maresca, che nell’autunno del 1955 uccise l’assassino del marito, apre la schiera di donne che hanno avuto ruoli di rilevo nella criminalita’ organizzata ma sempre in supplenza. Ciro Galli, ucciso da “Pupetta”, era un uomo di Raffaele Cutolo, che a sua volta vide la sorella Rosetta, mentre lui era detenuto, gestire il clan. A Saveria Palazzolo, moglie di Bernardo Provenzano, tocco’, invece, prendere in mano le redini degli affari finanziari del marito, ricercato per mafia. Ninetta Bagarella, moglie di Toto’ Riina, venne proposta per il soggiorno obbligato, ricorda in un articolo su Identitadiclio.com l’ex magistrato Girolamo Alberto Di Pisa, che propose il provvedimento. Nunzia Graviano, racconta ancora Di Pisa, manovrava il denaro della droga dalla Costa Azzurra, una volta che i fratelli furono arrestati. Del mandamento mafioso palermitano di Porta Nuova, a sua volta, fu Teresa Marino, ad assumere il potere nel 2015 quando il marito Tommaso Lo Presti fu recluso. Le operazioni antimafia recenti hanno confermato questo ruolo di ‘supplenza’ delle donne, che pero’, complice la lunghissima permanenza di mariti e fratelli in prigione, sono riuscite a consolidare le posizioni raggiunte al vertice, come accadde a Matilde Ciarlante, arrestata a gennaio scorso. Moglie del boss camorrista Giuseppe Cillari, era inserita nella lista dei 100 latitanti piu’ pericolosi. “E’ fuorviante pensare – spiegano gli investigatori – che le organizzazioni mafiose abbiano avviato una politica di pari opportunita’ per le donne, perche’ le storie delle donne di mafia rivelano che la condizione femminile della mafia non e’ mutata, e’ rimasta intatta, in quanto la mafia continua a conservare il suo carattere patriarcale e a ricorrere alle donne per i suoi affari criminali solo in caso di necessita'”. “Esse sono il termoregolatore – spiego’ Nicola Gratteri in una intervista del 2017 – le molle che caricano gli uomini. C’e’ un lavorio psicologico sull’uomo, la donna e’ quella che tiene acceso il fuoco della vendetta e che carica gli uomini per andare a uccidere”. Su quest’ultima riflessione Sciascia potrebbe trovarsi d’accordo: “C’e’ una bambina, figlia di un mio amico – disse ancora nell’intervista a Leosini – che quando le domandano che cosa vuole fare da grande dice: ‘Voglio fare la comandiera’. Vuole comandare perche’ ha capito benissimo il meccanismo della faccenda”.